SUMMER OPEN SEA KAYAK EXPEDITION...

Fin dalla prima volta che ci siamo avventurati sul Mar Egeo, abbiamo fantasticato di pagaiare per un lungo periodo tra le sue innumerevoli isole... senza avere l'assillo di dover finire nel tempo a disposizione quello che ci eravamo prefissati.
Ora questa aspettativa si è concretizzata: il viaggio inizia a fine giugno con un biglietto di sola andata...
Quando avremo finito le Isole Cicladi... torneremo a casa...
Tatiana e Mauro

Please use the translator on the left.
We're paddling most of the day and we don't have enough time to translate every single post...
We're confident you understand our position!


venerdì 16 settembre 2016

Amorgos, amore a prima vista!

Lunedì 5 settembre 2016 - 74° giorno di viaggio
Limani Parianos, Epano Koufonissi - Ormos Mouriama, Keros (16 Km, di cui 5 in traversata)
Vento NW 10-12 nodi (F4) - Mare poco mosso - T 24°C
Ieri sera abbiamo fatto tardi.
Dopo l'aggiornamento del blog ci siamo regalati l'ultimo dolce di mezzanotte, una fetta di salame al cioccolato guarnito con una palla di gelato alla vaniglia, talmente buono che me lo sono sognato anche di notte. Siamo tornati ai kayak quando era ormai iniziato il nuovo giorno.
La mattina siamo ovviamente molto più lenti del solito.
Ci gustiamo i piccoli piaceri di essere in un porto di pescherecci: i pescatori che vanno e vengono e che salutano sempre tutti con cortesia, qualche raro turista che arriva in bicicletta e che saluta con curiosità, la coppia di osti che apre i battenti della vicina taverna e che saluta Mauro con una certa sorpresa. L'uomo di Ferro ha preso l'abitudine di pasteggiare con vino bianco e, da quando gli hanno regalato una bottiglia di vino casareccio nella taverna di Thirasia, se ne va in giro per tutte le taverne delle Cicladi con la stessa bottiglietta di plastica per farsela riempire con le varietà locali di vino bianco.
Smontiamo il campo con tutta calma e con tutta calma lasciamo Epano Koufonissi: quando suonano le due del pomeriggio siamo finalmente pronti per salire in kayak.
Puntiamo diretti su Keros, l'isola più grande delle Piccole Cicladi.
E' una traversata breve, di appena cinque chilometri, ravvivata da qualche frangente nel centro del canale.
Keros è un'isola disabitata, dimenticata, dirupata: vista da nord, ha il profilo di una donna addormentata, distesa su un fianco con le braccia allungate oltre il capo. La testa, il naso e le spalle sono tutti picchi rocciosi che si ergono dalle acque profonde. Il portolano la descrive come brulla, impervia e selvaggia e tutto il versante settentrionale che noi costeggiamo per primo è una sequenza ininterrotta di gole deserte e scogliere verticali. Ci sono solo pochi arbusti radi, qualche vecchio terrazzamento in disuso e rare capre che brucano solitarie. Ci sono un paio di  faraglioni verso il capo nord-orientale, guglie triangolari e spoglie poggiate alla rinfusa in mezzo al mare, e poi alte pareti rocciose che nel sole del primo pomeriggio si tingono di giallo e di arancione. L'acqua è limpida e trasparente, specie quando una serie di scogli tormentati e biancastri digradano verso fondali bassi e sabbiosi, che tingono il contorno dell'isola di un bel turchese vivace. Non ci sono baie o spiagge e l'unico possibile punto di sbarco è al centro del versante meridionale. E' il nostro campo per la notte.
E' il campo 10 e lode su Keros.
Appena tocchiamo terra, dobbiamo spostare i kayak per ben due volte, la prima perché quella che sembrava una rete da pesca abbandonata è invece una capra morta dal folto pelo fulvo, e la seconda perché mentre io provo ad abbozzare un invaso per i Voyager Mauro va in perlustrazione e scova il posto adatto per il campo: i resti di una casupola di pietre della misura interna giusta per la nostra tendina. Subito si mette al lavoro per la bonifica e la messa in sicurezza dei muretti e dopo quasi un'ora di lavoro, mentre io mi perdo nella raccolta di ricci e conchiglie, è tutto pronto per preparare la cena.
C'è un ciuchino che pascola all'interno di un grande recinto, una famigliola di capre che transita sotto il grande ginepro che occupa il centro della radura ed una distesa infinita di fiori dal lungo stelo pieno di piccole margheritine bianche che sbucano da grandi cipollotti selvatici.
Arrivano anche due leprotti, talmente curiosi ed audaci da saltare intorno e sopra e anche dentro i kayak: ceniamo tutti insieme, noi col solito cous-cous al sugo, loro con i miei ultimi semi di zucca e girasole, che sgranocchiano di gusto muovendo di continuo il piccolo codino bianco.

Il campo 10 e lode sull'isola di Keros
Il tappeto di fiori dell'isola di Keros
Le scogliere della costa settentrionale di Keros
La costa occidentale di Keros
La costa meridionale di Keros...

Martedì 6 settembre 2016 - 75° giorno di viaggio
Ormos Mouriama, Keros - Ormos Kalotaritisas, Amorgos (17 Km di traversata, di cui 3 costeggiando il versante nord delle isole gemelle di Drima e Antikeros)
Vento SW 8-10 nodi (F3) - Mare poco mosso - T 24°C
Oggi il cielo è coperto sin dal primo mattino.
Nuvoloni bassi e spessi si addensano sull'isola di Keros ed il sole per la prima volta dall'inizio del viaggio non arriva a scaldare il nostro risveglio.
Lasciamo il campo 10 e lode con la nostra solita calma: Amorgos non è lontana.
Una luce strana, grigia e radente, quasi triste, ci accompagna nella traversata e ci lascia addosso una sensazione particolare, come se fosse ormai finita l'estate. L'autunno incombe, coi suoi colori e odori e umori: tutto è più ovattato e silenzioso, come intorpidito. Noi compresi, visto che l'umidità della notte è scesa a secchiate. Ma si vede che da queste parti questa è la regola: quando non c'è vento, c'è umido da lavare via ogni cosa, anche il calore delle ultime giornate di sole. Dovremo farci l'abitudine. Del resto, entrare nella nuova stagione è una delle piccole sfide di questo lungo viaggio alle Isole Cicladi, testare la nostra capacità di adattarci al succedersi dei mesi estivi ed autunnali.
La traversata su Amorgos, comunque, ci riserva una bella novità: le due isole gemelle di Drima e Antikeros sono adagiate in mare aperto a poco meno di quattro chilometri da Keros e costituiscono un richiamo allettante. Costeggiamo il versante settentrionale, riservandoci di visitare quello meridionale una volta che saremo rientrati da Amorgos, visto che Keros è una tappa obbligata per proseguire verso Naxos.
L'intermezzo delle due isole costituisce un piacevole diversivo, sia perché spezza la traversata e sia perché la piccola baia caraibica che si apre nello stretto ci regala delle belle emozioni: il sole fa capolino tra le nuvole e per qualche minuto illumina di colori brillanti il mare all'intorno, coi bassi fondali che si tingono di turchese e l'acqua cristallina che prende a tremolare d'argento. Piccoli particolari che contribuiscono a rendere il prosieguo della traversata meno uggioso.
Il sole scompare appena ci allontaniamo da Antikeros, come se volesse lasciarci navigare nel grigiore più totale fino ad Amorgos. E così è. Traversta grigia e mesta, con una leggera brezza contraria che rallenta la nostra andatura ed rabbuia il nostro umore.
Ma Amorgos è vicina.
Tutti ce ne hanno parlato benissimo, da Nico e Roberta, che sono tornati per anni a trascorrere le vacanze estive su quest'isola particolare, ai ragazzi torinesi conosciuti ad Iraklia, che sono rimasti ammaliati dal suo fascino particolare, ai tanti altri turisti incontrati lungo la via, che avevano già avuto la fortuna di fare tappa sulla più orientale delle Cicladi meridionali.
Temiamo quasi di rimanere delusi, perché spesso capita così: talmente alta è l'aspettativa che la delusione non tarda ad arrivare, come tante altre volte nella vita di tutti i giorni o come spesso accade con le persone...
Invece Amorgos è speciale. Ed è amore a prima vista!
L'isolino di Krambousa si avvicina veloce (anzi, noi ci avviciniamo veloci!) e ancor più veloce è il nostro ingresso nella splendida cala di Kalotaritisas, incassata ad uncino dietro un basso promontorio che ospita un porticciolo di piccoli gozzi locali. Ci sono tre barche a vela in rada, una fila di ombrelloni di paglia ed una kantina sulla spiaggia a mezza luna.
E' il campo 10 e lode su Amorgos, un biglietto da visita perfetto per l'isola.
A rendere ancor più perfetta la serata, oltre alla tranquillità che avvolge la baia non appena se ne vanno gli ultimi bagnanti, è la cena alla kantina all'altra estremità della spiaggia: mangiamo con i piedi nudi infilati nella sabbia bianca e fine, come sognavamo da tempo di poter fare, seduti ad un tavolo ricavato dal rocchetto di legno per i cavi elettrici (di quelli che mi piacciono tantissimo e che vorrei avere sulla terrazza), assaporando tutti i piatti che arrivano in stretta sequenza e che ricoprono la tavola, riempiono le pance ed allietano lo spirito.
La notte è stellata e secca, senza neanche il più timido accenno di brezza ed il più lieve suono di risacca. Tutto è immoto, come sospeso nel tempo.

I faraglioni di Keros
Lo stretto tra Drima e Antikeros
L'estremità meridionale dell'isolino di Krambousa
La cena alla Kantina di Kalotaritisas, il campo 10 e lode di Amorgos

Mercoledì 7 settembre 2016 - 76° giorno di viaggio
Ormos Kalotaritisas - Monastiri Chozoviotisa, Amorgos (23 km)
Vento SE 8-9 nodi (F3) - Mare calmo - T 25°C
Mi sveglio all'alba, ben prima di Mauro, e ho tutto il tempo di raccogliere micro-conchigliette per oltre un'ora mentre sorge il sole dietro le alte montagne di Amorgos.
Torniamo alla kantina per fare colazione comodamente seduti al "nostro" rocchetto e facciamo una piacevole chiacchierata con i due velisti svizzeri che pure sono sbarcati di buon'ora. Non lo sappiamo ancora ma li rivedremo ancora, e sarà uno degli incontri più interessanti ed emozionanti di tutto il viaggio, perché ci regaleranno una delle immagini più belle del giro!
Oggi le tappe sono obbligate, perché il versante meridionale di Amorgos che scegliamo di costeggiare per primo, navigando intorno all'isola in senso antiorario, non offre molti punti di sbarco e possiamo scegliere di fare la sosta per il pranzo solo su due spiagge tra loro vicine, Ammoudi e Mourou, entrambe molto belle e con ciottoli levigati bianchi, grigi e neri che subito si infuocano al sole, tanto che la pausa diventa davvero molto breve.
La costa sud di Amorgos è rocciosa ed impervia, con scogliere alte e dirupate che scendono a picco sul mare e che si innalzano sempre più man mano che si procede verso l'estremità orientale dell'isola. Per oltre venti chilometri non ci sono altro che picchi rocciosi alti dai 100 agli oltre 500 metri: né una strada, che corre interna lungo la vallata che serpeggia al centro dell'isola, né una casa, salvo quella bianca accanto all'unica taverna strategicamente costruita sulla spiaggia di Mourou (ma troppo in alto per le nostre povere stanche membra!), né una pianta, eccezion fatta per qualche basso arbusto abbarbicato alle pareti scoscese.
All'apparenza sembra un'isola brulla ed inospitale, una lunga cresta montuosa di oltre quaranta chilometri, dentellata di gole pronunciate ed inaccessibili, una serie quasi monotona di rocce nude e bruciate dal sole, che non offrono alcun ridosso o riparo. Il portolano è chiaro e quasi minaccioso sul punto: le spettacolari scogliere di Amorgos sono tristemente famose sin dall'antichità perché il Meltemi viene accelerato dalle ripide pendici delle montagne e spazza la costa con violentissime raffiche che hanno provocato molti naufragi. Giacon, l'autore di un manuale di vela che abbiamo consultato prima di partire, arriva addirittura a consigliare di navigare soltanto lungo la costa nord oppure ad oltre cinque miglia nautiche dalla costa sud!
In realtà, Amorgos è un'isola speciale ed attraente, per chi ama questo tipo di paesaggio selvaggio e brutale, un'isola ricca di contrasti ed armonia al tempo stesso, per chi sa apprezzare questa strana combinazione di bellezze naturali, un'isola piena di magia ed avvolta in un'atmosfera di tranquillità, dove rilassarsi diventa facile ed immediato.
Noi ci riusciamo all'istante, tanto che prendiamo il mare soltanto all'ora di pranzo.
Provo a pescare, ma abbocca solo un'orata, sufficiente comunque ad insaporire il nostro cous-cous serale. Quando calo ancora la lenza, sono ancora meno fortunata perché una prima volta viene tranciata di netto da un bell'esemplare di barracuda che vedo chiaramente nuotare sotto  un raggio di sole che penetra sotto il mio kayak, ed una seconda volta finisce in pasto ad un branco di grossi pesci che sta banchettando sul pelo dell'acqua, tanto da farla andare in ebollizione con un rumore di vetri rotti. Mi ci infilo di proposito, perché non ho mai assistito ad uno spettacolo del genere e pazienza per il rapala andato perduto, ma l'emozione di farsi pesce tra i pesci è impagabile.
Un'altra grande emozione è quella di arrivare al tramonto sotto il Monastero di Chozoviotisa.
E' una costruzione del tutto particolare, di origine medioevale e rimaneggiata nei secoli successivi, costruita a 300 metri sul livello del mare e ad altrettanti dalla sommità del Monte Prophetis Elias, la scogliera verticale sulla quale è incastonata come un nido d'aquila. Arroccato su quello sperone roccioso a strapiombo sul mare, l'intero edificio consiste di un unico muro di quaranta metri di lunghezza e di cinque metri di profondità, otto piani che per la particolare tecnica costruttiva utilizzata non corrispondo gli uni agli altri, una serie di celle per i monaci, di corti interne e di una chiesa sulla sommità. Le tante finestrelle ricavate nella parete strapiombante ed imbiancata a calce sono tutte irregolari, sia per la posizione che per la dimensione, e donano un senso di approssimazione che bene si sposa con l'alone di spiritualità che aleggia sul monastero più famoso delle Isole Cicladi.
La vista dal mare e dal kayak è davvero straordinaria e per qualche lungo istante restiamo incantati col naso all'insù.
Superiamo le due calette che si aprono tra gli scogli ai piedi di un'altra piccola e meno famosa cappella, quella di Agia Ana, costruita a pochi metri sul mare: sono ancora piene di bagnanti che a colpo d'occhio non sembrano avere nessuna intenzione di andare via, nonostante l'ora tarda. Non c'è spazio per tutti, loro, noi ed i nostri kayak, così proseguiamo per qualche altro centinaio di metri e scoviamo una caletta non segnata sulla carta, con una piccola spiaggia di ciottoli bianchi, inaccessibile da terra ed esattamente ai piedi del Monastero di Chozoviotisa. Non c'è molto spazio per montare la tenda e c'è una frana recente che occupa parte della spiaggia, e che probabilmente ha reso inagibile anche il sentiero che un tempo scendeva al mare dal vicino parcheggio, dal quale in quindici minuti, come dice la guida turistica, si sale al monastero (che avremmo visitato pure volentieri, se fosse stato in qualche modo raggiungibile). Normalmente non avremmo mai scelto una sistemazione tanto angusta per la notte, ma la costa meridionale di Amorgos offre così pochi punti di sbarco che la scelta diventa obbligata.
C'è anche un lato positivo, come sempre, in ogni cosa.
La vista dal basso delle luci che si accendono e ravvivano il monastero al calar della sera è indimenticabile, come quelle che brillano in mare quando scende l'oscurità: la bioluminescenza illumina i gentili frangenti che raggiungono la riva e che accarezzano gli scogli prospicienti la nostra spiaggetta, con un'intermittenza che segue il ritmo irregolare delle onde del mare e che ci sorprende ed emoziona ogni volta di più...

L'alba sul primo campo di Amorgos
Le acque cristalline di Amorgos
Le scogliere del versante occidentale di Amorgos
L'iguana di roccia...

Giovedì 8 settembre 2016 - 77° giorno di viaggio
Monastiri Chozoviotisa - Ormos Meghali Vlichada, Amorgos (30 Km)
Vento NE 9-10 nodi (F3) - Mare calmo e poco mosso - T 26°C
Se ieri sera è calata un poco di umidità ad impregnare la tenda, stamattina l'afa è tale che sudiamo sette camicie per smontare il campo e prima ancora di fare colazione, cosa più unica che rara, ci dobbiamo tuffare in mare per un bagno refrigerante. Forse l'autunno non è ancora arrivato e siamo ancora in piena estate, almeno qui ad Amorgos!
Oggi riusciamo a battere anche un altro record, quello della partenza mattutina: alle 10.30 siamo già in kayak, molto prima del solito perché anche la tappa odierna è lunga e le soste sono obbligate.
Capiamo che Giacon non aveva tutti i torti nel consigliare la navigazione a cinque miglia dalla costa: le raffiche che scendono dalle gole sono molto tese e rafforzano man mano che il sole si alza in cielo. Anche le scogliere si alzano in maniera vertiginosa ed in alcuni punti raggiungono la ragguardevole altezza di quasi 600 metri, come le vette che sovrastano la pronunciata baia di Sparti, nei pressi della quale scoviamo una caletta di ciottoli bianchi e neri talmente piccola e talmente ridossata che ci invita a sbarcare sia per un pranzetto veloce che per un altrettanto veloce shampoo. Il secondo ci offre l'occasione di constatare che anche su Amorgos ci perseguita la seconda costante dell'universo ed i capelli continuano ad essere intricati ed indomabili, forse anche perché il nuovo balsamo che abbiamo comprato, in un curioso contenitore rosa shocking, sarà pure per capelli crespi ma sui nostri non ha sortito alcun effetto apprezzabile!
Friggiamo dal caldo e riprendiamo subito a pagaiare. Con tecniche di navigazione diverse: Mauro si rifugia a pochi metri dalla costa, sotto le scogliere strapiombanti, al riparo da ogni possibile folata, io invece che insisto a pescare, peraltro senza successo, mi lascio trasportare dal vento verso il largo, così per qualche tempo devo contrastare le raffiche ma poi posso sfruttarle per farmi "sputare fuori" dalle baie. Avanziamo così a singhiozzo per vari chilometri, incrociando sulla nostra rotta soltanto i falchi che nidificano sulle scogliere e che planano di continuo intorno ai nostri kayak. Poi anche il vento cala ed il mare diventa una tavola blu. E ci sentiamo piccoli piccoli sotto le scogliere alte alte di Amorgos.
Il capo sud-orientale dell'isola si scorge da tempo ma è ancora molto lontano.
La costa è sempre alta, scoscesa, brulla, rocciosa, deserta. Continuano a non vedersi né case, né strade, né chiese: scorgiamo solo i resti di una vecchia cava di estrazione nei pressi dell'ansa di Fragou Limenari, ai piedi di monti ancora più impervi e più alti (la carta riporta la cifra netta di 823 metri, la vetta più alta di Amorgos!). Ci sono soltanto alcune casette in pietra locale, qualche struttura ormai arrugginita ed un molo dismesso che incide la costa come unico manufatto artificiale, squadrato e logorato dal tempo.
Un tempo che non sembra passare mai, visto che il capo è ancora laggiù, all'apparenza irraggiungibile. Lo vediamo da lontano e lontano rimane. Sempre. Non si avvicina mai. Mai più.
Poi accade qualcosa di strano, una di quelle cose curiose che capitano soltanto in kayak: il tempo che s'era dilatato nell'attesa di raggiungere il capo irraggiungibile, si contrae all'improvviso, il vento sparisce ed in un attimo siamo sul capo! L'abbiamo raggiunto, finalmente! E non solo: lo doppiamo in derapata! Forse per le correnti che sempre giocano intorno ai capi o forse per il forte vento che sempre ci accompagna in questa lunga giornata o forse ancora per la grande virata a cui ci costringe questo capo del tutto speciale, da Est a Nord-Ovest, ben 135 gradi bussola. Per un motivo o per un altro, superiamo in un baleno questo capo che, forse per la sua natura bizzarra e misteriosa, ha collezionato ben tre nomi diversi, tutti peraltro belli ed intriganti: Akrotiri Xòdoto o Pràsino o Gròukela.
Ma succede anche qualche altra cosa: passiamo in un baleno dall'estate all'inverno!
Di là dal capo era estate piena, con il sole caldo del tardo pomeriggio, la luce dorata ad illuminare la costa, la brezza gentile che appena increspava il mare; di qua del capo è invece inverno inoltrato, con il sole che scompare dietro le montagne, la luce che si spegne in una foschia grigia e buia, il vento freddo che riprende a soffiare con forza in direzione contraria. Sembra di essere entrati in un'altra dimensione. Ed è così per altri otto chilometri, otto lunghi chilometri contro vento. Ad un certo punto, scorgo lungo la costa delle scogliere alte, altissime, alte anche più delle altre: sono tutte glassate, con uno strato di zucchero che le avvolge dalla cima fino a mezza costa. Capisco di avere fame. Avvicino Mauro e con fare seducente lo convinco a sacrificare le due barrette che conserva gelosamente da chissà quanti giorni: "Quando arriviamo a quella punta triangolare laggiù". Mi tocca in sorte quella al cioccolato: sono proprio una donna fortunata!
Carichi di nuove energie, raggiungiamo facilmente il secondo capo della costa orientale di Amorgos e, come per magia, ritorna l'estate. La costa si abbassa quel poco da far posto all'ultimo sole della giornata e solo quando entriamo nella bellissima baia che ci ospita per la notte l'ombra della sera ci segue fino a riva.
E' una cala ampia e profonda, con una grande spiaggia ai piedi di una grande gola: è esposta a nord-ovest quindi, come spesso accade sulle isole dell'Egeo, raccoglie tutti i rifiuti che l'uomo ha gettato in mare e che il mare rigetta a terra. E' una spiaggia sporca, a prima vista, ma per me è una spiaggia ricca di tesori: inizio subito a "grufolare", come dice Mauro quando mi cimento in questa che è una delle mie attività preferite quando siamo in campeggio nautico, ed in poco più di mezz'ora scovo tra i vari reperti moderni in plastica e catrame una discreta collezione di palette, rastrelli e formine colorate, oltre ad una decina di galleggianti di tutte le dimensioni e ad una folta schiera di ricci verdi e rossi. Non potrei essere più soddisfatta! Mauro mi richiama all'ordine: montiamo la tenda per la prima volta con l'ingresso rivolto verso la vallata interna perché dal mare continua a soffiare imperterrito il nostro amico Meltemi e cuciniamo ancora prima che faccia buio, senza bisogno di accendere le luci frontali. Si accendono le nostre stelle preferite proprio mentre ci diciamo buonanotte.

Il campo ai piedi del Monastero di Chozoviotisa
La foto scattata dal Monastero che ci hanno regalato Christine e Rodolfo
Trasparenze
Il capo nord-orientale di Amorgos, quello su cui è tornata è l'estate...

Venerdì 9 settembre 2016 - 78° giorno di viaggio
Ormos Meghali Vlichada - Ormos Egialis, Amorgos (9 Km)
Vento NW 8-9 nodi (F3) - Mare calmo - T 26°C
Il risveglio è lentissimo. La mattina è nuvolosa.
Il cielo resta coperto fino all'imbarco.
Poi però il sole viene a salutaci nel momento sempre un po' speciale in cui prendiamo il mare.
Ci attendono altre scogliere glassate. Per un tratto breve, stavolta. Fino al capo che protegge la baia di Egialis, uno dei due porti turistici di Amorgos. Appena due ore di pagaiata verso sud. In favore di vento, una volta tanto.
La baia del porto è molto bella, con delle piccole spiagge di sabbia fine sul lato nord e con una lunga fila di tamerici che proiettano un'ombra corposa sulla lingua di sabbia bianca e fine. Prima ancora di sbarcare incrociamo il piccolo catamarano rosso dei due veliti svizzeri che già avevamo incontrato a Kalotaritisas, la prima baia in cui avevamo fatto campo su Amorgos. Ci salutano con entusiasmo e ci invitano a bordo per una birra. Mi piacerebbe tantissimo accettare perché sono molto curiosa di capire come si vive su un piccolo catamarano con pozzetto centrale, ma dobbiamo purtroppo reclinare l'invito perché, anche se l'acqua del porto è così limpida da invitare a farsi una nuotata, io ho un problema: soffro il mal di mare. Su qualunque altra imbarcazione che non sia il mio kayak, dal gommone al traghetto, io inizio a soffrire di mal di mare nel preciso istante in cui metto piede a bordo. Con buona pace della birra per Mauro e della mia curiosità, che rimarrà insoddisfatta chissà ancora per quanto tempo...
Siamo affamati, anche se abbiamo pagaiato poco. Siamo sempre affamati, in questo viaggio, per dire la verità: io più di Mauro, e quando ordiniamo da mangiare il cameriere di turno ci guarda con sospetto, come se aspettassimo altri amici, perché io chiedo sempre piatti per tre e poi mangio per quattro, così alla fine paghiamo per cinque, anche se i prezzi sono talmente contenuti che in confronto all'Italia spendiamo per uno soltanto!
Scegliamo il ristorantino al centro del porto di Egialis, affacciato sul molo che accoglie appena qualche barca a vela ed un traghetto che attracca all'esterno. Abbiamo perso l'autobus delle 13 ed attendiamo quelle delle 17: vogliamo andare a visitare il paesino di Lagada, che i ragazzi torinesi incontrati ad Iraklia ci avevano raccomandato di non perdere. Il viaggio in autobus è breve, appena tre chilometri di tornati in salita, ed il giro per i vicoli del piccolo centro è molto piacevole: anche se l'architettura non è quella cicladica, sono tipicamente greche le decorazioni delle scalinate che serpeggiano tra i giardini interni, le bouganville in fiore che abbelliscono le arcate, i gatti che sonnecchiano tra i vasi di basilico, i tavolini dipinti a pastello che occupano le piazzette ed i pochi turisti che si confondono con gli abitanti locali e tutti insieme sorseggiano raki, giocano a backgammon e salutano sempre con un sonoro "Yassas".
Ci sediamo anche noi in un angolino riparato dal vento, ordiniamo qualcosa da bere e chiediamo se c'è un dolce: arriva una fetta di torta, una specie di biscotto farcito di gelato al cioccolato, che ci tiene occupati fino all'autobus delle 21 che ritorna al porto.
C'è un cartello di divieto di campeggio proprio sul lungo mare, ma le luci della stradina pedonale che corre tra le case e la spiaggia sono tutte molto fioche e per una fortunata coincidenza quelle più vicine ai nostri kayak sono addirittura fulminate. La tamerice più grande spande intorno ai Voyager un'ombra sufficiente per montare la tenda passando del tutto inosservati.
E anche per questa notte abbiamo una casa.

Una porta aperta sul Mar Egeo
Il nostro ingenuo messaggio quando lasciamo soli i kayak...
Una foto in coppia che ci scatta una simpatica turista al porto di Egialis
La straordinaria baia dell'isola di Nikourià

Sabato 10 settembre 2016 - 79° giorno di viaggio
Ormos Egialis - Katapola, Amorgos (20 Km)
Vento W 8-10 nodi (F3) - Mare poco mosso - T 26°C
Iniziamo il nuovo giorno con una piacevole e lunga chiacchierata con Christine e Rodolfo, i due velisti svizzeri che scendono a terra e vengono a salutarci prima di fare rotta verso Donousa: oggi soffia un vento per loro favorevole e per noi contrario. Ci fanno un regalo fuori dal comune, che noi apprezziamo sopra ogni cosa: una bella foto di noi due in kayak, scattata dall'alto del Monastero di Chozoviotisa. Ce la mostrano sulla fotocamera e ce la mandano via mail con un messaggio emozionante: "Ecco il momento in cui abbiamo veramente sentito che avventura speciale voi state vivendo!"
Finalmente due velisti che veleggiano: guardiamo a lungo la vela spiegata della loro bella Janix che si allontana in mare aperto mentre noi proseguiamo lungo la costa di Amorgos.
Oggi ci attende la splendida baia dell'isola di Nikourià, una delle varie isole satelliti di Amorgos, quella più vicina alla costa e quella senza dubbio più attraente: le sue scogliere di rocce bianche e dilavate dall'acqua e dal vento digradano in maniera morbida e regolare in una cala ampia e ridossata dai fondali bassi e sabbiosi. L'acqua si tinge di tutte le possibili gradazioni di blu, una tavolozza perfetta che neanche un pittore tra i più esperti saprebbe riprodurre in maniera così particolare, passando con sapienza da una tonalità all'altra intanto che il mare sfuma dal blu intenso delle sue acque più profonde al bianco trasparente delle sue rive più chiare. La sosta per il pranzo non poteva essere in un luogo migliore.
La costa settentrionale di Amorgos prosegue poi tra colline basse e brulle che scendono dolcemente verso il mare e verso spiagge incastonate al fondo di piccoli fiordi che incidono questo versante dell'isola, così diverso dall'altro, perché è tutto più basso e più armonico, ma anche così simile, perché tutto è sempre disabitato e selvaggio. La strada corre all'interno e si intravedono soltanto alcune delle antiche torri di avvistamento in pietra, quelle che comunicavano mediante segnali di fuoco con le isole di Ios e Naxos.
Pagaiamo per tutto il pomeriggio nel riverbero del sole sul mare. In altre circostanze sarebbe stato fastidioso, ma oggi c'è qualcosa di diverso nell'aria ed è addirittura piacevole: è un ventaglio di scaglie d'argento che si allarga dalla prua del kayak fino all'orizzonte lontano. E' un ventaglio che rinfresca: la brezza tesa che spira in direzione contraria alla nostra rotta rende la navigazione forse un po' più lenta ma certamente molto meno afosa di ieri. E un po' più autunnale.
E poi c'è questa onda piccola e corta che ci contrasta ma che è un piacere pagaiare, perché ci invita a procedere in sincrono col mare, infilando la pagaia sulla cresta per sfruttarne l'energia, anche a costo di procedere con ritmo sincopato perché non tutte le onde arrivano con lo stesso tempo e a volte serve cambiare un po' il ritmo per poter mantenere la giusta cadenza con l'acqua che sale e che scende.
Non parliamo quasi mai tra noi, per non interrompere il nostro dialogo col mare. Non guardiamo quasi mai la costa, per non smettere di guardare l'acqua che fluisce intorno ai kayak. Non pensiamo quasi a nient'altro se non al piacere che ci trasmette questo ballo speciale che balliamo col mare. E' come respirare il respiro del mare!
Poi appare il terzo faro di Amorgos, ricostruito accanto alla vecchia casa in pietra ormai abbandonata, e ci rovina tutta l'armonia. Ecco, se l'isola ci ha conquistati, i suoi fari invece ci hanno deluso: benché posti su punti cospicui e all'altezza ragguardevole di 46, 76 e 95 metri sul livello del mare, sono tutti e tre appollaiati su dei massi anonimi che si confondono col resto della costa, tutti e tre hanno dei piccoli tralicci metallici verniciati di bianco con una lucina poco più grande di quella del mio comodino e tutti e tre sono dotati di pannelli solari che sormontano l'anonima struttura e contribuiscono a togliere ogni romanticismo all'idea stessa di faro... Ma questo è il progresso.
Entriamo nel golfo di Katapola proprio mentre arriva il solito catamarano veloce. Ci sono tre belle spiagge ombreggiate, che ospitano ognuna un piccolo campeggio libero organizzato, due piccole chiesette bianche ma senza la classica cupola blu, che spiccano sulle scogliere basse proprio a due passi dal mare, ed un cimitero minuscolo e terrazzato che ospita diverse croci ortodosse tra i radi cipressi un po' stinti.
L'idea iniziale era quella di dedicare un giorno intero, domani, alla visita della Chora e del Monastero. Il programma di viaggio, come spesso succede, è invece destinato ad essere modificato: il "Consigliere alla Navigazione", infatti, dopo l'ennesimo controllo delle previsioni meteorologiche, che annunciano l'arrivo del Meltemi con un giorno di anticipo, suggerisce di traversare su Keros un giorno prima del previsto. Lasciare Amorgos è davvero difficile, specie ora che mi ero affezionata all'idea di passare un'intera giornata ad esplorare l'interno dell'isola. Come "Consigliere Aggiunto alla Cambusa", allora, provo a strappare un compromesso onorevole: rinunciamo alla visita al Monastero ma non a quella della Chora. L'accordo viene raggiunto dopo una brevissima contrattazione. Prendiamo l'autobus delle 19 e andiamo a cena in uno dei ristorantini che impreziosiscono i vicoletti del centro storico, quelli che salgono irregolari verso la cresta della montagna su cui sono raggruppati ben otto mulini a vento, alcuni ancora perfettamente funzionanti, tutti inseriti nelle classiche cartoline ricordo di Amorgos. Lasciamo la Chora con l'ultimo autobus, quando si sono accese le poche lucine del paese, e scendere di notte tutti quei tornanti senza parapetto è spaventoso quanto era stato salire quelli per la Chora di Serifos. Ma è anche elettrizzante guardare dall'alto il porto illuminato, cambiare prospettiva ad ogni curva e scendere pian piano verso il mare.
E a due passi dal mare stasera dobbiamo montare la tenda perché lo spazio è davvero ridotto, chiuso tra una tamerice piangente ed il muro di contenimento della strada costiera. Dopo aver trascorso così tante serate in luoghi frequentati dalle capre siamo arrivati a non far più caso al loro passaggio, ma trascorrere una notte tra decine di oche, volpoche ed oche canadesi ci fa sentire subito la differenza.

Pieghe nella roccia della costa settentrionale di Amorgos
Antico e moderno faro del golfo di Katapola a confronto
I mulini della Chora di Amorgos al tramonto
Navigando verso sud
Le morbide colline del versante nord-occidentale di Amorgos

Domenica 11 settembre 2016 - 80° giorno di viaggio
Katapola, Amorgos - Ormos Mouriama, Keros (31 Km di cui 17 di traversata)
Vento NW 8-9 nodi (F3) - Mare poco mosso - T 26° C
Ci sveglia l'omino della pulizia della spiaggia: deve passare col trattorino cingolato per raccogliere la posidonia e setacciare la sabbia. Siccome abbiamo montato la tenda sull'unica lingua di sabbia su cui può transitare, se non ci sbrighiamo a spostare tutto, kayak compresi, lui non può iniziare a lavorare. Di domenica mattina!
Un po' tramortiti dal pungente odore di gasolio, che si somma a quello ancor più intenso dell'orda di oche che razzolano intorno ai kayak, diamo seguito al programma di viaggio che ieri hanno concordato il "Consigliere alla Navigazione" ed il "Consigliere Aggiunto alla Cambusa": una ricca prima colazione al caffè del porto, quello dal nome invitante di "Meli e Cannella", dalle vetrine ricolme di torte e dalla sala interna piena di biscotti, dolci e prelibatezze varie. Impieghiamo un po' più di tempo, stamattina, per raggiungere un accordo: alla fine, visto che non sappiamo scegliere, arriviamo ad ordinare quattro porzioni di torte diverse, all'arancia, al miele, alla crema e al cioccolato, accompagnate dal solito caffè frappè glikò me gala, il caffè greco shakerato e zuccherato di cui andiamo ghiotti. E' un concentrato glicemico perfetto per la pagaiata che ci aspetta, prima lungo l'ultimo tratto della costa di Amorgos e poi in traversata verso Keros.
Pagaiamo un po' rattristati all'idea di dover salutare Amorgos.
Fortuna che il paesaggio ci tiene impegnati: passiamo prima la bella chiesetta di Kastriani, costruita su uno sperone roccioso grigio e levigato che sembra quasi il dorso di un armadillo, poi altre colline brulle che digradano dolcemente verso il mare, poi un'altra piccola isoletta con una chiesetta al centro ed un sentiero a zig-zag segnalato da tre piccoli dromi bianchi, poi ancora una curiosa baia a tridente con calette isolate dove, come ieri, varrebbe la pena di fermarsi per un'intera settimana e poi anche un profondo fiordo che incide la costa prima dell'ultimo capo pronunciato dell'isola.
Puntiamo infine verso la baia di Livadi, quella del famoso relitto di Amorgos: è lo scafo arrugginito ed arenato di una vecchia nave da carico a vapore, ripreso anche nel film di Luc Besson "Le Grand Bleu". E' tanto grande ed incombente, quando lo avviciniamo in kayak, da risultare affascinante ed inquietante al tempo stesso e quando Mauro legge il nome inciso sulla poppa capiamo subito il motivo della sua fine ingloriosa: Inland.
Passiamo anche dinanzi alla prima cala su cui siamo sbarcati non appena arrivati ad Amorgos e chiudiamo così perfettamente il periplo dell'isola.
Facciamo poi una breve sosta tecnica per sgranocchiare una barretta sulla piccola isola vicina di Krombousa e quando scoccano le tre del pomeriggio iniziamo la traversata di ritorno verso Keros. E' una traversata tranquilla, con un mare piatto come una tavola. L'unica nota di colore è una nauseante chiazza di gasolio che disegna l'arcobaleno sulla strana onda lunga che arriva da sud-ovest, increspata dalla brezza che invece arriva da nord-ovest, secondo quelle regole misteriose che a volte stravolgono le previsioni meteorologiche. Fossero tutte così, le prossime traversate: sembra quasi che abbiamo fatto l'abbonamento alla navigazione in mare aperto a cinque chilometri orari. Inoltre, ci concediamo ancora il piacevole intermezzo delle due isole gemelle di Antikeros e Drima, che stavolta costeggiamo lungo il versante meridionale, così da completarne il periplo, prima di puntare sul nostro campo 10 e lode di Keros.
Su Keros è tutto al suo posto, come l'abbiamo lasciato, persino i sassi usati come invaso per i kayak. Manca solo il ciuchino, ma tornano a trovarci sia la famigliola di capre che il leprotto dal codino bianco, stavolta talmente impudente da arrivare persino a rosicchiare il nostro unico preziosissimo cucchiaio in legno della cucina da campo.

Il relitto dell'Inland
Selfie con relitto
Ferro in diverso stato di conservazione
La breve sosta sull'isoletta di Krambousa prima della traversata su Keros  

Lunedì 12 settembre 2016 - 81° giorno di viaggio
Ormos Mouriama, Keros - Ormos Kalados, Naxos (20 Km di traversata)
Vento NW 11-13 nodi (F4) in aumento dalle 15 - Mare poco mosso - T 25°C
Oggi ci dedichiamo ad un'attività diventata per noi quasi ordinaria: l'accanimento terapeutico.
Stamattina è la volta sia dei cuscini, che si sgonfiano ogni notte di più e che devono avere una serie di buchi invisibili, che del mio cappello da navigazione, che si è strappato in più punti perchè la stoffa ormai è talmente lisa da sfogliarsi anche solo a guardarla. Mauro mi suggerisce di usare il nastro adesivo al rovescio prima di dare un rammendo, poi lui finisce il lavoro con una mano di colla neoprene: la colla è nera e sul cappello bianco sembra quasi un disegno decorativo. Appena finito il lavoro, calzo il cappello "resuscitato" e sento che si strappa anche dietro... credo proprio che non arriverà alla fine del viaggio, al massimo finirà la stagione estiva: poco male, visto che ho appena trovato su una delle spiagge deserte di Amorgos un cappello in cotone pesante con il laccio in cuoio che si presterà benissimo per la stagione autunnale entrante.
Questa seconda sosta su Keros è diversa dalla prima per il grande caldo che ci attanaglia sin dal risveglio: c'è un'afa asfissiante e carica di umidità che avvolge l'intera baia, un sole cocente che accende di mille colori i fondali, un caldo tale che in poche ore consumiamo due litri d'acqua a testa. Non tira un alito di vento ma arriva a motore un veliero a due alberi, che getta l'ancora al centro della cala e tira subito non una ma addirittura due cime a terra, chiudendoci dentro e sbarrandoci la strada... Ma dico io, non avevamo stabilito che l'ancoraggio a terra andrebbe rigorosamente vietato?!?
In qualche modo riusciamo ad uscire, Mauro passando vicino alla fiancata ed io pagaiando a fatica sopra una delle due cime. Gli occupanti sembrano (far finta di!) non accorgersi di nulla.
Fortuna che ci ritroviamo subito in mare aperto, tra una manciata di scogli che circondano il capo sud-occidentale di Keros, il più piccolo e più lontano di tutti con un nano-faro sulla sua sommità. Sapevamo che saremmo tornati su Keros, tappa obbligata per la traversata verso Naxos: è bello tornare sui propri passi, visitare isole già visitate, esplorare luoghi già esplorati, riconoscere spiagge già conosciute. E' un po' come ritrovare la via di casa, infonde un senso di sicurezza perché si sa dove andare, cosa fare, come muoversi. E Keros ci fa sentire a casa, tanto la sua costa è diventata per noi familiare.
In più, il Meltemi s'è svegliato presto e avvolge l'isola con raffiche ripetute che scendono all'impazzata lungo le sue vallate disabitate già dal primo mattino. E' un fedele compagno di viaggio, questo vento fresco che non si fa mai attendere più di una settimana. Ci regala persino 100 metri gratis quando superiamo l'ultima cala ed il vento soffia deciso alle nostre spalle. Ci avviciniamo al capo dal quale avevamo iniziato il periplo di Keros ormai più di una settimana addietro, facciamo ciao ciao con la manina e chiudiamo idealmente anche il periplo della maggiore delle Piccole Cicladi.
Possiamo ora traversare su Kato Koufonissi. Il Meltemi ci aspetta al varco.
Il Piano A del "Consigliere alla Navigazione" prevedeva di traversare verso nord, risalendo contro vento per fare una sosta intermedia su Epano Koufonisi prima di raggiungere il capo più vicino sull'isola di Naxos. Il Piano B, invece, prevede di traversare verso ovest, sfruttando il vento al traverso per toccare prima l'estremità meridionale di Kato Koufonisi e poi la punta sud di Naxos, un po' più lontana ma con una traversata più "facile". Prevale il Piano B: vento al traverso Forza 4 per i cinque chilometri che separano Keros da Kato Koufonissi. Dobbiamo calibrare la deriva, controllare la rotta e prendere secchiate d'acqua. Per il resto, tutto fattibile: le onde sono basse e regolari, perché il Meltemi prima spiana e poi ingrossa il mare.
La sosta sulla piccola baia della costa meridionale di Kato Koufonissi è molto breve, giusto il tempo di scartare e ingoiare una barretta.
La seconda traversata da Kato Koufonissi a Naxos è tutt'altra cosa: è di appena dieci chilometri ma è anche una delle più strane che ci siano toccate in sorte. La prima mezz'ora scorre tranquilla, con un mare calmo del tutto imprevisto. Per un attimo penso che saremmo potuti restare ad Amorgos un giorno in più. L'attimo dopo ho già cambiato idea: il "Consigliere alla Navigazione" è uomo saggio e previdente e non sbaglia mai niente! Con la velocità che sempre mi stupisce (ed un poco mi atterrisce!) il mare cambia stato: prima arrivano onde incrociate, forse per il gioco di correnti che corrono intorno a Naxos e che creano trame intrecciate lungo tutto lo stretto; poi sale un bel vento contrario che ci ostacola per i successivi otto chilometri. Allora niente, testa bassa e china sul ponte anteriore, non possiamo fare altro che pagaiare, non abbiamo alternativa. Perché noi abbiamo pure affinato in questi mesi la capacità di sfruttare onde e vento anche quando sono contrari, ma il Meltemi quando si risveglia dopo giorni di torpore riprende con una foga tale da lasciare senza fiato. Specie quando la morfologia del terreno gli consente di caracollare giù per le gole che incidono la costa da nord a sud, la sua direzione preferita. Ecco, noi vogliamo raggiungere proprio quella spiaggia laggiù, ai piedi della vallata più lunga ed ampia di tutta la costa meridionale di Naxos. E non perché siamo masochisti, ma perché è uno dei punti più vicini per la traversata da Keros, uno dei più strategici date le condizioni meteo-marine odierne ed uno dei più comodi per iniziare il periplo dell'isola. Solo che il Meltemi tutto questo non lo sa. Il Meltemi sa solo che deve soffiare, e al solito soffia in direzione ostinata e contraria alla nostra rotta. Ci rallenta talmente che copriamo gli ultimi otto chilometri in tre ore tonde, avanzando a meno di tre chilometri orari, ben al di sotto delle medie di navigazione a cui ci eravamo "abbonati".
Alla fine arriviamo a Naxos.
La bella baia di Kalados è circondata da morbide colline che si aprono ad anfiteatro ed è occupata sul lato est da un piccolo porto peschereccio. Il portolano dice che offre una buona protezione dal Meltemi, nonostante le raffiche che scendono dalla valle: un'indicazione che sembra ironica anche per le barche da diporto. Noi che abbiamo due panfili, ci dirigiamo sicuri in porto ed occupiamo i posti numeri 2 e 3 della prima banchina, quella insabbiata fino al numero 13! C'è uno stagno dietro la spiaggia a mezza luna, alimentato da un fiumiciattolo che sfocia in mare proprio alla radice della banchina... chissà chi è stato a pensare di realizzare il porto in questa posizione!
Ci avvicinano subito due velisti tedeschi che parlano un ottimo italiano e che hanno attraccato al molo interno, almeno quello non si è ancora insabbiato. Ci fanno domande nuove rispetto al solito: non ci chiedono più chi siamo e dove andiamo, ma se per caso eravamo noi quelli che giorni prima navigavano tra le Piccole Cicladi, da dove loro arrivano.
Noi stiamo morendo di fame e per cercare di non essere scortesi li invitiamo a leggere il blog, così possono tenersi in esercizio con la lingua. Un attimo dopo ci stiamo arrampicando su per un sentiero sconnesso che sembra una ferrata e poi per una scaletta in legno mezza marcia e puntellata con dei grossi sassi, come quello che sostituisce il terso scalino inclinato e crepato: speriamo di trovare una presa per ricaricare il computer e per aggiornare finalmente il blog. Ma non c'è neanche campo e continua pure a Naxos la persecuzione della prima costante dell'universo che ci ha accompagnato su tutta Amorgos. Che è un paradosso, perché Mauro mi ricorda che quando eravamo sull'isola di Ios, in pellegrinaggio alla tomba di Omero, arrivava il segnale pieno con connessione 4G proprio da Naxos, mentre ora che a Naxos ci abbiamo messo piede, della connessione c'è solo qualche sporadico accenno, appena sufficiente a farci inserire i punti dei campi, ma assolutamente inadeguata per la pubblicazione del blog.
Allora niente, per spedire nella blogosfera gli ultimi diari di viaggio dovremmo attendere ancora un giorno. Speriamo domani di riuscire a farlo, visto che abbiamo in programma di raggiungere Panormos, un borgo che sulla carta sembra più grande ed attrezzato di questo piccolo porticciolo dotato di una misera kantina senza presa, che comunque ci sfama a dovere.
Dormiamo come due angioletti, satolli e soddisfatti.

Il leone di roccia di Krombousa
In traversata verso Antikeros e Drima
La seconda visita del leprotto di Keros
Dopo aver messo piede su Amorgos iniziamo ad esplorare Naxos

Martedì 13 settembre 2016 - 82° giorno di viaggio
Ormos Kalados - Ormos Psili Ammos, Naxos (19 km, tutti controvento!)
Vento N 21-23 nodi (F6) in attenuazione dalle ore 18 - Mare da mosso a poco mosso - T 24°C
Abbiamo montato il campo sul selciato del porto, davanti ad una bellissima panchina in legno e ghisa che ci offre un ottimo ancoraggio per i tiranti della nostra tendina, sbatacchiata durante la notte dalle raffiche del Meltemi che ha fatto tintinnare a lungo anche le cime della barche a vela. E' facile smontare e ripiegare e riporre ogni cosa nelle sacche, visto che è tutto in piano e senza la sabbia che si infila ovunque: c'è solo un formicaio di formiche giganti proprio a due passi dalla tenda ed un insopportabile raduno di mosche proprio mentre ci accingiamo a fare colazione, che pertanto diventa velocissima. Mauro litiga col vento per accendere l'ennesima sigaretta e prima ancora di passare all'accendino anti-vento ne riceve uno rosso in regalo dal pescatore appena sbarcato dal peschereccio rientrato da una pesca fortunata, a giudicare dalle cassette di pesce subito caricate sul camion-frigo che attende in porto. Piccoli gesti che significano molte cose.
Lasciamo i nostri due posti barca insabbiati con tutta calma, la nostra solita calma mattutina, e prendiamo a costeggiare verso nord la bella Naxos quando ormai è quasi ora di pranzo.
Per otto chilometri almeno restiamo ridossati dal Meltemi.
Quella che doveva essere una semplice tappa di trasferimento a Panormos, dove speravamo di trovare una taverna adatta per aggiornare il blog, si trasforma invece in una breve anche se piacevole sosta per il pranzo. Dobbiamo proseguire perché anche qui c'è soltanto una kantina sulla spiaggia, all'ombra di una fila di dieci palme e due tamerici e con un bancone azzurro ricolmo di conchiglie giganti e reperti archeologici. Manca però la presa di corrente e l'indispensabile connessione internet, anche se non manca l'insalata greca, guarnita con del gustoso formaggio locale, molto più morbido e saporito della solita feta, il più classico formaggio greco. Ci ricarichiamo a sufficienza per affrontare i successivi dieci chilometri, tutti contro vento.
Prima di risalire in kayak, ci avvicina un simpatico signore francese che veste una camicia rosa (detesto il colore ma adoro gli uomini che lo indossano!) e che un po' incerto ci fa la "solita" nuova domanda: "Eravate per caso voi sotto il Monastero di Amorgos qualche giorno fa? E come avete fatto ad arrivate fin quà?" Poi lo ritroviamo anche strada facendo, noi che saltelliamo tra le onde e lui in auto lungo lo sterrato che segue la costa: ci suona da uno dei tornanti più vicini al mare, scende a scattare altre mille fotografie e si sbraccia in saluti ed incitamenti. Ci emoziona sempre molto il coinvolgimento che suscitiamo negli sconosciuti che incontriamo lungo il nostro percorso. Anche il capitano di un bellissimo veliero in legno che entra a gettare l'ancora poco prima che noi lasciamo la baia di Panormos si leva il cappello in segno di saluto al nostro passaggio e tutto sorridente ci dice "Chapeau!". Altri piccoli gesti che significano tante cose.
La costa orientale di Naxos è molto bella, con una strada sterrata che si intravede solo di tanto in tanto, con poche case di villeggiatura concentrare in due-tre piccoli villaggi anonimi (e tutti sempre senza l'ombra di una taverna, argh!) e con colline ricoperte di macchia mediterranea quando sono basse e vicine al mare e di noccioli ed ulivi quando invece sono più alte ed interne. La guida dice che Naxos è la seconda delle Isole Cicladi per estensione, per numero di abitanti e per fertilità del suolo: la costa che noi osserviamo dal kayak è molto verde, con un profilo morbido ed intrigante, anche se un po' monotono per i nostri gusti. Incontriamo qualche grotta, varie baiette, molte spiagge e persino una duna alta e ricoperta di arbusti frondosi poco prima del nostro campo, una piccola caletta di sabbia chiara e ciottoli policromi ai piedi di una villetta in pietra locale. La signora che fa capolino dal giardino terrazzato accende tutte le luci esterne intanto che noi ci laviamo, ci asciughiamo e montiamo il campo. Come sempre quando mangiamo a pranzo a quattro palmenti saltiamo la cena, o quasi, se non per piluccare qualche pezzetto di pane, una manciata di frutta secca e gli immancabili zuccherosi loukoumi.

I nostri panfili ormeggiati ai posti 2 e 3 del porto di Kalados a Naxos
La costa sud-orientale di Naxos
In navigazione verso nord sul versante orientale di Naxos
 Sempre Naxos

Mercoledì 14 settembre 2016 - 83° giorno di viaggio
Ormos Psili Ammos, Naxos - Ormos Stavros, Donousa (28 km di cui 19 in traversata)
Vento N 19-25 nodi (F 5-6) - Mare da mosso ad agitato con onde fino a 2 metri spesso frangenti - T 24°C
Riusciremo oggi a raggiungere Donousa?
Dove magari c'è una taverna adatta a ricarica il computer e ad aggiornare il blog?
Se ci svegliamo presto e se il Meltemi non ci ostacola troppo, e soprattutto se la traversata non diventa particolarmente impegnativa, allora forse si, per sera saremo sull'isola più settentrionale delle Piccole Cicladi.
Altrimenti dovremo ancora una volta cambiare i nostri programmi ed adattarli a quelli del Meltemi. Abbiamo passato tutta la serata a fare e disfare e rifare i piani di navigazione, ben sapendo che tanto è sempre e solo Lui, il Meltemi, ad avere l'ultima parola e a decidere per noi.
La traversata su Donousa è preceduta da una lentissima pagaiata di nove chilometri verso nord, tutti contro vento, fino al piccolo villaggio di Moutsouna, che spicca sulla costa con il suo vecchio molo adibito al carico di smeriglio, con tanto di resti dei binari che corrono su per la collina fino alla cava dismessa ed un lungo filare di vagoni arrugginiti che scorgiamo anche dal mare.
Avanziamo a fatica, costringendo i Voyager a manovre fuori programma nei giardini di roccia che si aprono tra i conglomerati rosso ramati di questo tratto del versante orientale di Naxos, per cercare un minimo di ridosso dal vento tra gli scogli e per sfruttare un poco l'onda di ritorno che sempre si crea vicino alla costa rocciosa, qui però comunque troppo debole rispetto alla forza del Meltemi.
Sul capo Akrotiri Stavros la musica cambia.
Dopo una brevissima sosta-barretta affrontiamo la traversata: bellissima, la più entusiasmante di tutte quelle sin'ora affrontate.
Per raggiungere l'isola di Donousa, come anche le tre isolette intermedie di Makeres, Paraskevi e Strongili, dai nomi bellissimi ma dai profili aspri ed inquietanti, dovremmo seguire una rotta diretta verso est. Per le forti correnti che interessano lo stretto e per il vento teso che spazza il mare, dobbiamo invece correggere la rotta di ben 30 gradi bussola, tanto da puntare per tutto il tragitto quasi verso nord-est. E' un traghetto perfetto. Per controllare la rotta calcolata dal GPS (o viceversa!) usiamo il metodo dell'allineamento, sfruttando i due capi su Naxos e Makeres come punti cospicui: il primo ha scogliere alte con faraglioni tozzi e ben visibili anche da lontano, il secondo si staglia in mezzo al mare come un triangolo dorato segnato da scanalature orizzontali. C'è un'onda lunga alta mezzo metro che ci accompagna per l'intero tragitto e che risulta assai piacevole: l'andatura al mascone è molto gradita ai Voyager, che con la chiglia pronunciata a V tutta in acqua, ora che sono carichi dell'equipaggiamento per il viaggio, scivolano via di lato che è un vero piacere.
Quando dopo due ore raggiungiamo le famigerate isolette intermedie si scatena il putiferio: la lavatrice sul primo capo di Makeres è impostata sulla centrifuga veloce e lungo tutto il versante settentrionale le correnti, le onde ed il vento creano un guazzabuglio di spruzzi e schizzi e saltelli d'acqua che per troppi lunghi bagnati minuti ci fanno sentire nella difficile condizione della mosca tra i piatti dell'orchestra. Siamo attaccati da tutti i lati e da tutti gli elementi ed è una lotta impari perché il profilo dell'isoletta si richiude in una profonda baia ad uncino che crea giochi di onde imprevisti ed imprevedibili. Ci mettiamo quasi mezz'ora per superare l'ultimo capo, e subito rinunciamo all'idea di sbarcare sulla spiaggia incassata nel versante orientale: anche lì tutto ribolle ed il mare che circonda l'isoletta è impraticabile.
La seconda parte della traversata su Donousa, appena superate le mille tribolazioni di Makeres, è ancora più impegnativa della prima parte, perché nel frattempo il Meltemi ha gonfiato il mare a dovere, le onde sono salite ad oltre due metri ed i frangenti adesso arrivano spesso a coprire i ponti dei kayak, a darci qualche buffetto sulle spalle e a volte anche sul mento.
Ma c'è un'onda di poppa, forse dovuta alle correnti che interessano anche questa parte dello stretto, che a tratti è ben più visibile delle altre: quando la agganciamo riusciamo a procedere (quasi) gratis e la navigazione sembra farsi (quasi) facile. Poi però tornano le onde al traverso a scompaginare le cose e dobbiamo riprendere a gestirle con appoggi e inclinazioni varie, prendendo ancora qualche altro schiaffo prima di poter tornare a sfruttare le sempre più rade onde di poppa. Mauro sta bene nella sua giacca d'acqua ed io per un bel po' gliela invidio. Ma più di ogni altra cosa rimpiango la pompa a pedale che ho montato sul mio vecchio Baidarka: la navigazione sarebbe adesso molto più asciutta, considerato che il paraspruzzi, nuovo alla partenza, dopo quasi tre mesi in mare comincia purtroppo a fare acqua. Ed in queste condizioni l'unico a poter usare la pompa di sentina manuale senza rischiare un ribaltone è l'Uomo di Ferro, che ha da sempre l'equilibrio di un trapezista. Io non ci provo neanche.
E' la traversata più bagnata di sempre.
Non una parola. Non un pensiero. Non una foto.
Nella prima parte perché eravamo tutti presi a divertirci, nella seconda perché siamo troppo occupati a non ribaltarci.
Il vantaggio è che non guardiamo (quasi) mai l'isola, tutti presi come siamo a decifrare il mare: Donousa compare (quasi) all'improvviso, quando sentiamo la sirena del traghetto della compagnia di navigazione della Small Cyclades Lines che arriva da Amorgos e che entra in porto pochi minuti prima dei nostri due panfili.
E così l'ultima mezz'ora di navigazione la passiamo a scrutare la costa di Donousa e a fissare le casette bianche di Stavros, il porto principale dell'isola, che si avvicina velocemente.
Mancano solo venti minuti. Poi dieci. Adesso solo cinque.
Siamo in porto. Siamo in spiaggia. Siamo in taverna.

Il tramonto sui monti di Naxos
Verso Akrotiri Stavros su Naxos
La spiaggetta della sosta su Akrotiri Stavros prima della traversata su Donousa
L'unica foto della traversata da Naxos a Donousa al capo occidentale dell'isoletta intermedia di Makeres

Giovedì 15 settembre 2016 - 84° giorno di viaggio
Ormos Stavros - Ormos Stavros, Donousa (0 km)
Vento N 22-27 nodi ((F 6) - Mare agitato - T 24°C
Sosta forzata, sosta agognata!
Trascorriamo l'intera giornata a bighellonare in giro per la Chora di Donousa.
La prima taverna che abbiamo sperimentato ieri sera per cena non era adatta alle nostre esigenze: benché sia stata la prima taverna dell'isola, aperta nel 1978, ha la sala interna ora completamente adibita a cucina e la grande terrazza esterna è occupata da una decina di tavolini quadrati ma non ha neanche un presa. Per non dire della connessione internet, intermittente se non del tutto assente.
La seconda taverna che proviamo per colazione, che ha sia un caffè che un minimarket annesso, non ha né la presa né la connessione.
La terza taverna sulla spiaggia, poco oltre i nostri kayak, quella che ha mandato musica per tutta la notte, proprio stamattina ha chiuso i battenti: tutte le sedie accatastate affianco ai tavolini di vimini sono un chiaro indizio che la stagione è ormai finita.
Siamo quasi sul punto di desistere quando leggiamo da lontano l'insegna di un'ultima taverna all'altra estremità della spiaggia del porto: ci dirigiamo titubanti su per la collina fuori dal paese e... la troviamo chiusa! Abbiamo però la fortuna sfacciata di incrociare il gestore, che non solo ci offre subito da bere ma ci dice che si, possiamo restare sulla terrazza affacciata sul mare a ricaricare il computer e a scrivere il post per tutto il tempo che vogliamo. Loro riaprono nel tardo pomeriggio e noi li aspettiamo per cena: poi facciamo notte per aggiornare il blog, sotto gli sguardi increduli dei camerieri, che non si capacitano di cosa diavolo stiamo facendo da quasi 12 ore filate!
Ci prendiamo comunque qualche pausa di riflessione. Io ho preso l'abitudine di scrivere appunti per ogni giornata di navigazione sui tovaglioli delle taverne che frequentiamo e quindi il grosso del lavoro è solo quella della trascrizione e correzione, tranne quando devo decifrare ciò che ho scritto troppo in fretta. Mauro a tavola diventa loquace e stasera parliamo a lungo del presente e del futuro e, come spesso succede in viaggio, cominciamo anche a programmarne uno nuovo, magari alle Isole del Dodecanneso, chissà...
Poi ci perdiamo in questa piccola riflessione, che volentieri condividiamo: questo nostro lungo viaggio alla scoperta delle Isole Cicladi è un viaggio possibile perché è un viaggio aperto, in cui possiamo programmare le tappe in ragione delle più favorevoli condizioni meteo-marine. Se avesse una data prefissata per la sua conclusione, come sempre è stato nei nostri viaggi passati, probabilmente non potremmo affrontarlo con la stesso spirito, perché dovremmo forse rivedere o addirittura rinunciare ad una parte del viaggio. In questo modo, invece, siamo aperti ad ogni possibile variazione ed evoluzione: dobbiamo solo avere la flessibilità necessaria per accettare ogni cambiamento.
Come i cambiamenti che osserviamo oggi dalle arcate della "nostra" taverna affacciata sul mare: le onde che prima si gonfiano e poi si spianano, la luce che è prima argentata e poi dorata, il sole che lascia il posto alla luna... le luci del porto che si accendono e quelle della taverna che si spengono.

1 commento:

  1. I commenti su Facebook (16 settembre 2016):
    https://www.facebook.com/tatiana.cappucci/posts/1200902596597311
    Dieci giorni di navigazione tra Keros, Amorgos, Naxos e Donousa alla disperata ricerca di una connessione adeguata!

    Franco De Lazzari: Ciao ragazzi , da oggi seguo anch'io la vostra avventura!! Ci siamo conosciuti sulla spiaggia a Katapola , quando l'omino puliva la spiaggia dalle alghe..........ciaooo

    Carlo Miccio: Grandi, siete grandi

    Isabella Beltramini: Ciao buona navigazione, un abbraccio!

    Paolo Orlandini: Bravi ......... quanto vi manca a concludere? O è una navigazione ad oltranza? Grandi.
    [Tatiana Cappucci: Meltemi permettendo, contiamo di chiudere il giro per metà novembre... 😉]
    Simonetta Biagini: addirittura??? :-O
    Tatiana Cappucci: :-)
    Massimiliano Milani: giusto per la ripresa della piscina... baci a tati

    Daniel Forcier: Vraiment superbe quel persévérance...j'adore

    Marco Valle: Sempre super

    Danilo Tulone: Finalmente ho trovato il tempo di leggere con calma quest'ultimo post. E ne è valsa la pena! :)
    [Simonetta Biagini: Concordo!!!]

    Marco Valle: Sono in astinenza di vostre notizie

    Franco Di Bernardo: GRANDE MAURO. BELLISSIME FOTO. CIAO DA Franco Di Bernardo

    Antonio Colantuoni: Avete una resistenza stupefacente! Evviva i giovaniiiii

    Toni Pusateri: Bel posto...

    Daniel Forcier: Un peu plus grand faites vous le tour???

    Trudie Trox: Very rural island with a remote feeling when I visited back in 1981 :-)

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