SUMMER OPEN SEA KAYAK EXPEDITION...

Fin dalla prima volta che ci siamo avventurati sul Mar Egeo, abbiamo fantasticato di pagaiare per un lungo periodo tra le sue innumerevoli isole... senza avere l'assillo di dover finire nel tempo a disposizione quello che ci eravamo prefissati.
Ora questa aspettativa si è concretizzata: il viaggio inizia a fine giugno con un biglietto di sola andata...
Quando avremo finito le Isole Cicladi... torneremo a casa...
Tatiana e Mauro

Please use the translator on the left.
We're paddling most of the day and we don't have enough time to translate every single post...
We're confident you understand our position!


lunedì 31 ottobre 2016

Check-in/OK messaggio dal Tatiyak SPOT Localizzatore SPOT Personal Tracker

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Latitudine:37.53809
Longitudine:25.16006
Posizione GPS Data/Ora:10/31/2016 17:02:26 CET

Messaggio:Cicladi Kayak Tour 2016.
Stiamo bene e il viaggio prosegue come programmato...

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domenica 30 ottobre 2016

Check-in/OK messaggio dal Tatiyak SPOT Localizzatore SPOT Personal Tracker

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Latitudine:37.53213
Longitudine:25.16494
Posizione GPS Data/Ora:10/30/2016 17:24:59 CET

Messaggio:Cicladi Kayak Tour 2016.
Stiamo bene e il viaggio prosegue come programmato...

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sabato 29 ottobre 2016

Atterrati dal Meltemi...

Martedì 25 ottobre 2016 - 124° giorno di viaggio
Panormos - Panormos, Tinos (0 Km)
Vento N 28-32 nodi (F7) - Mare agitato - Temperatura 18°C
Abbiamo spostato la tenda.
Il Meltemi è cresciuto nella serata di ieri e durante la notte ha fatto festa.
Abbiamo trovato riparo dietro la staccionata del piccolo centro velico del paese.
Riusciamo a dormire e non puntiamo la sveglia: facciamo colazione al bar che è quasi l'ora di pranzo. Fa freddo e tira vento: sembra una giornata tipicamente invernale!
Saliamo in autobus a visitare il villaggio vicino, Pyrgos, a cinque chilometri nell'entroterra, accoccolato in una gola dove il vento si insinua furtivo e ad ogni passo cerca di farci lo sgambetto. E' difficile procedere controvento anche a terra, non solo in mare.
Pyrgos è famoso come il paese degli scultori del marmo ed è un museo a cielo aperto di arte marmorea tradizionale: tutte le case e le chiese sono decorate con inserti di marmo bianco sulle porte, sulle finestre e sui balconi. Sono i tipici spiragli di marmo, chiamati "yperthyra", di forma quadrata o semicircolare, usati non solo per abbellire le facciate ma anche per ventilare ed illuminare l'interno delle abitazioni. Si trovano piastrelle incise ad arte anche sui fontanili, sulle scalinate e sui muretti divisori: le più belle e strane sono le formelle inserite qua e la lungo i vicoli lastricati.
Le cave di marmo non sono lontane e pare che i marmi bianchi e verdi di Tinos siano diventati talmente famosi da essere stati utilizzati per le decorazioni del Museo del Louvre e di Backingham Palace. Secondo la tradizione, confermata anche da reperti archeologici, fu Fidia, il più illustre tra gli scultori del mondo greco, ad insegnare i segreti del marmo agli abitanti di Tinos: artisti tiniesi vennero impiegati anche nella costruzione dei templi della vicina isola di Delos. Pare che a fine Ottocento vivessero sull'isola di Tinos oltre mille tra scultori, artigiani e tecnici delle cave di marmo. La tradizione scultorea si è tramandata di generazione in generazione, formando anche artisti di fama internazionale, tanto che oggi c'è una rinomata scuola locale dove i giovani dell'isola possono studiare arte, disegno e scultura.
In paese e nei dintorni è tutto uno sfoggio di marmi lavorati con figure di pesci, delfini, sirene, stelle marine e velieri tra i marosi, ma anche stelle e soli e uccelli e finestrelle e archetti ed intrecci complessi. Anche i lavatoi sono completamente rivestiti di marmo ed in centro ne troviamo uno molto grande e molto bello che sembra essere stato usato fino a pochi giorni fa. I laboratori artigiani sono disseminati per tutto il paese e si possono visitare anche mentre gli artisti sono al lavoro. Ci sarebbero anche tre o quattro musei, ma oggi li troviamo tutti chiusi. Ottimo motivo per trascorrere il resto del pomeriggio rintanati nel caffè più bello del paese, affacciato sulla piazzetta centrale in cui campeggia un platano secolare, sotto il quale sono sistemati i tavolini degli altri bar. Non c'è quasi nessuno, incontriamo solo una famigliola francese, in vacanza come noi fuori tempo massimo, coi vestiti troppo leggeri per queste giornate uggiose.
Scendiamo verso il porticciolo di Panormos quando ormai è l'imbrunire.
Scendiamo a piedi, giusto per avere una valida scusa per tornare a cena nella nostra taverna preferita. Non facciamo in tempo ad entrarci che un signore panciuto del posto ci avvicina: si ripete la scenetta di qualche giorno fa nel porto di Korthiou, ad Andros, con l'omino che ci faceva una domanda dietro l'altra e ad ogni nostra risposta mostrava un crescente stupore. Anche stasera il pescatore locale ci chiede quanti chilometri pagaiamo ogni giorno (al momento nessuno!), quando pensiamo di ripartire (e chi lo sa!) e se abbiamo bisogno di qualche cosa (grazie, ma adesso vorremmo solo rivedere il sole!).
Il vento solleva così tante onde che il molo è sommerso di spruzzi. L'attività più impegnativa della giornata è proprio quella di attraversare la strada sul lungomare per raggiungere la spiaggia dove dormono i nostri due Voyager. Abbiamo sviluppato una discreta conoscenza dei ritmi del mare per evitare di bagnarci e per arrivare a destinazione asciutti e contenti...

Il nostro "nuovo" campo a Panormos
In visita a Pyrgos, il paese degli scultori del marmo
Le decorazioni dei vicoli lastricati di Pyrgos
Uno dei lavatoi di Pyrgos
Una delle famose "yperthyra" sulle porte di case e di chiese a Pyrgos

Mercoledì 26 ottobre 2016 - 125° giorno di viaggio
Panormos - Panormos, Tinos (0 Km)
Vento N 25-31 nodi (F6-7) - Mare agitato - Temperatura 18°C
Il Meltemi ha squassato ininterrottamente le tamerici intorno al nostro campo e ha fatto tintinnare le cime dell'albero dell'unico catamarano del centro velico. La staccionata è alta esattamente quanto la nostra tendina, che ha superato indenne la notte, lasciandoci dormire sonni profondi.
Altra colazione al bar, altro giro in autobus nell'entroterra, altra cena in taverna.
Torniamo a visitare la Chora di Tinos, riuscendo a prendere quella corsa che giorni addietro avevamo perso: stavolta è in senso contrario, da Panormos alla Chora.
E' un'ottima occasione, che cercavamo da tempo, per visitare l'entroterra dell'isola.
La cosa che ci lascia a bocca aperta, più ancora da terra che non dal mare, è la stretta successione di muretti a secco che corrono su e giù per tutti i rilievi dell'isola e quegli straordinari terrazzamenti che hanno in parte modificato l'aspetto di Tinos, trasformando i dolci declivi in perfette gradinate. Perfette almeno lo erano nel passato, visto che ormai sono quasi del tutto abbandonate, lasciate al pascolo di capre, pecore e mucche: solo raramente, e per lo più nascosti nelle gole più protette, alcuni appezzamenti sono coltivati con piccoli orti casalinghi o con aranceti, limoneti e vigneti, circondati da canneti che, quando spira il Meltemi, suonano come in un concerto di nacchere. Le varie frane hanno fatto crollare i muretti, hanno rovinato il lavoro secolare degli uomini e stanno riconsegnando l'isola al suo aspetto originario, una distesa di pietre rossastre e radi arbusti piegati dal vento.
Ah, il vento: appena scendiamo alla fermata della Chora di Tinos, il Meltemi sembra sparito del tutto, nascosto dietro la catena montuosa che separa la costa settentrionale, dove siamo bloccati da giorni, da quelle meridionale, dove speriamo di poter arrivare domani!
Il sole splende alto nel cielo e rende la passeggiata sul lungomare della Chora una vera delizia. Ci fermiamo in una delle varie agenzie marittime per chiedere informazioni dettagliate su come spedire alcuni dei miei "preziosi ritrovamenti" ad Atene, dove il mitico Manolis si è offerto di  ritirarli: è lui che ci ha suggerito di caricare il pacco sul traghetto invece che spedirlo per posta, è più economico, veloce e sicuro. L'unico problema è rappresentato dal fatto che devo essere io stessa ad imbarcarlo sul traghetto delle 15... mentre il nostro autobus per rientrare a Panormos parte alle 14! Dovrò attendere qualche giorno ancora.
Mentre torniamo in autobus ai nostri kayak ragioniamo sulla facilità con cui riusciamo a riempire le giornate, anche quelle in cui non possiamo pagaiare: questo lungo viaggio alle Cicladi è anche un lungo viaggio interiore alla scoperta della nostra dimensione ideale, anche quando non siamo in kayak.
Stasera andiamo a letto presto, appena fa scuro: dobbiamo essere pronti per domani!

Il lungomare di Panormos
Prove generali di partenza
Abbigliamento invernale e nord-ovest bel calcati in testa
Il mare nel golfo di Panormos verso l'isolino del faro

Giovedì 27 ottobre 2016 - 126° giorno di viaggio
Panormos - Panormos, Tinos (10 Km)
Vento N 17-20 nodi (F5) - Mare molto mosso - Temperatura 18°C
Si riparte!!!
Anzi no, si torna a terra!!!
Scopriamo che Tinos, secondo la leggenda, è stata l'isola natale di Eolo, il dio del vento.
Il Meltemi, che soffia da giorni, ha gonfiato il mare: l'orizzonte è ondulato e dalla spiaggia, ancor prima di salire in kayak, vediamo le onde che separano il cielo dal mare.
Il vento si è attenuato ma il mare non sembra ancora essersene accorto.
Ci decidiamo lo stesso ad imbarcarci: ci vestiamo per la prima volta con l'abbigliamento tecnico invernale, compreso il nostro bel cappello nord-ovest, necessario oggi perché minaccia pioggia. Necessario anche per proteggerci dagli spruzzi, perché una volta fuori dal golfo ci accorgiamo che i frangenti sono più frequenti di quanto non pensassimo (e di quanto ci era possibile vedere da riva).
Le prime pagaiate ci permettono di riprendere confidenza con i Voyager e con il movimento ondulatorio del mare: nella baia interna di Panormos, protetta dall'isolino del faro, le acque sono tranquille, anche se nere per la giornata coperta, e anche se spianate di tanto in tanto dalle raffiche che si insinuano lungo le vallate adiacenti.
Ci guardiamo convinti di poter proseguire.
E così facciamo per altri cinque chilometri.
La costa rocciosa corre alta ed impervia per tutto il versante settentrionale dell'isola. Ci separano ben venti chilometri dal faro del capo nord-est. La nostra idea è di raggiungere la Chora di Tinos, e quindi di pagaiare anche lungo il versante orientale dell'isola, sperando di sfruttare i venti da nord che in quel tratto dovrebbero spingerci di poppa. Ci accorgiamo ben presto che il nostro programma deve essere rivisto.
Più ci allontaniamo da Panormos e più le onde diventano alte. E quasi tutte frangenti.
Ci sono momenti in cui vedo Mauro salire su collinette d'acqua di almeno tre metri e poi ridiscendere in un confusione di acqua bianca e spruzzi in ogni direzione. Io penso con convinzione sempre più flebile che si tratta solo di acqua che sale e acqua che scende. In realtà, è acqua che sale un po' troppo e che scende un po' troppo. E che spesso ci precipita addosso!
Teniamo duro, speriamo che si tratti soltanto di bassi fondali in prossimità dei capi più pronunciati, dove il vento si insinua creando turbolenze particolari ed imprevedibili. E così cerchiamo di raggiungere anche il capo successivo, quello che risalta per il verde brillante delle sue scogliere. Ma non ci arriviamo. Non oggi, almeno.
Il mare si ingrossa, le onde crescono, il vento rinforza.
Siamo costretti ad appoggiare sempre più spesso sui frangenti sempre più numerosi.
E' una continua gimcana tra le onde, per cercare di evitare quelle più alte, rallentando o accelerando l'andatura per portare i Voyager lontani dalle creste più ripide. Ma sono quasi tutte pronte a frangere. Molte si abbattono sui nostri kayak. I cappelli nord-ovest non sono sufficienti a reggere l'assalto delle onde. Le giacche d'acqua "storiche" sono già tutte bagnate e hanno persino colori più vividi  ed intensi, pure sotto il cielo che permane scuro e nuvoloso. I paraspruzzi finiscono più volte sott'acqua perchè il mare sembra divertirsi a salirci sopra.
Non sarà facile affrontare questo mare fino al faro per i prossimi venti chilometri.
Ci interroghiamo a lungo sulla durata della tappa odierna, perché la velocità di crociera sembra attestata sotto i due nodi. Abbiamo anche altre perplessità: ci sono alcune baie aperte sulla costa nord dell'isola, ma sono tutte impraticabili, col mare che entra diretto fino a riva, creando di certo ampie zone di surf. Le altre spiagge sulla costa est sono probabilmente molto esposte, sia alle onde che al vento. Di tutte non conosciamo bene le caratteristiche, se non quelle che ci è dato intuire dalla lettura della mappa nautica.
Pensiamo e ripensiamo a cosa fare.
Quando però vedo Mauro sommerso da un frangente, in appoggio alto per qualche secondo che a me sembra un'eternità, col solo cappello giallo che spunta appena tra la schiuma, allora la decisione è presa all'istante: si torna indietro!
Ci guardiamo più volte per controllare di stare bene, Mauro mi urla da lontano che è già il terzo frangente che affronta in appoggio alto, io gli urlo di rimando che mi sembra un mare troppo grosso e troppo aggressivo: siamo d'accordo di dover rientrare a Panormos!
E' la prima volta che ci capita di dover tornare sui nostri passi e sulle nostre pagaiate: mai prima, né durante questo lungo viaggio alle Cicladi, né durante uno dei nostri precedenti viaggi a zonzo per il Mediterraneo, mai ci era toccato in sorte di dover fare dietro-front.
Doveva spettare al Meltemi, il re di tutti i venti, di bloccare la nostra avanzata.
Le prue adesso sono rivolte non più verso est ma verso ovest, le onde arrivano non più da sinistra ma da destra, il vento non soffia più al giardinetto ma al mascone. E' tutto cambiato in un attimo. Dobbiamo ancora una volta riprendere confidenza col kayak, col vento e col mare.
Rientrare a Panormos è quasi più difficile di quanto non sia stato poco fa allontanarsi dalla sua spiaggia. Impieghiamo più tempo a tornare indietro di quando non ne abbiamo impiegato per raggiungere il capo in subbuglio. Gli stessi cinque chilometri sembrano essersi dilatati. L'isola del faro è lì ma sembra irraggiungibile.
Ancora appoggi, ancora spruzzi, ancora schiaffi.
Mauro ed io continuiamo a scomparire tra i flutti, a tempi alterni ma troppo spesso.
Facciamo bene a rientrare: una cosa è uscire in mare per fare esercizi, lungo una costa conosciuta e familiare, un'altra è affrontare il mare lungo un percorso sconosciuto ed impegnativo. Siamo consapevoli che non ci sono sbarchi praticabili per i prossimi venti o più chilometri. Un viaggio di esplorazione significa anche questo: saper proseguire quando è possibile e sapere rinunciare quando è impossibile.
Man mano che, lentamente e faticosamente, ci avviciniamo al golfo di Panormos, le onde si spianano, il vento si attenua ed il freddo si fa sentire sempre di più.
Appena mettiamo piede sulla stessa spiaggia dalla quale siamo partiti appena tre ore prima, le raffiche ci raggiungono con violenza e ci impongono di velocizzare tutte le operazioni di sbarco: posizioniamo i kayak negli stessi invasi, ci cambiamo sullo stesso scalino di marmo, stendiamo l'abbigliamento sullo stesso filo e... ci rifugiamo nella stessa taverna!
In pochi minuti riprendiamo temperatura.
Rimpiangiamo le nostre calde ed asciutte mute stagne: sarebbe tutt'altra musica in loro compagnia. Capiamo una volta di più quanto sia vero che, a parità di condizioni e di capacità, una buona attrezzatura possa davvero fare la differenza.
Torniamo a consultare le previsioni meteorologiche per l'ennesima volta: sono confermate altre giornate di venti forti da nord e temiamo di dover restare ancora per alcuni giorni a terra...

In visita a Tarambados, il villaggio delle colombaie
Una delle prime colombaie che avviciniamo
La vallata di Tarambados
Una delle colombaie più grandi e più antiche

Venerdì 28 ottobre 2016 - 127° giorno di viaggio
Panormos - Panormos, Tinos (0 Km)
Vento N 24-27 nodi (F6) - Mare agitato - Temperatura 17°C
Lasciamo la tenda montata dietro la staccionata del centro velico.
Da quando abbiamo iniziato questo lungo viaggio alle Cicladi abbiamo sempre montato al tramonto e smontato all'alba (o quasi): oggi è la prima volta che scegliamo di non smontare! Il luogo è talmente riparato e sicuro e noi siamo diventati quasi parte dell'arredo urbano, che non si sembra necessario levare i picchetti e sganciare i paletti e piegare i teli e ripiegare ogni cosa e riporre tutto nei gavoni dei kayak. Usciamo dalla tenda e andiamo a fare colazione al bar.
Oggi torniamo a Pyrgos...
Saliamo a piedi, scendiamo a piedi e restiamo l'intero pomeriggio rintanati nel nostro bar preferito.
Oggi non siamo i soli perché qui in Grecia è festa nazionale: è il "Giorno del No", che ricorda l'orgoglio greco per il rifiuto del primo ministro Metaxas di consegnare la Grecia all'Italia di Mussolini durante la seconda guerra mondiale. Ci sono famiglie intere che occupano i tavolini dei vari bar affacciati sulla piazzetta centrale e si respira un'aria completamente diversa rispetto a qualche giorno fa, quando eravamo i soli a girare per il paese. Ci sono manifesti inneggianti alla pace appesi al platano secolare e alle porte delle chiese vicine e sembra davvero un giorno molto sentito: i bambini sono vestiti a festa, i vecchi sono seduti a giocare a backgammon e a fumare, i giovani sono riuniti in gruppetti e chiacchierano allegri e rilassati. Sono tutti fuori casa, come in gita fuori porta.
Queste lunghe giornate di sosta forzata a terra ci stanno facendo scoprire in maniera del tutto imprevista un aspetto delle Cicladi che da tempo volevamo appurare: come scorre la vita in inverno, o almeno fuori dalla stagione turistica, per capire se una di queste meravigliose isole possa fare al caso nostro (sono anni che Mauro sogna di potersi trasferire in Grecia!).
Tinos si è svuotata di turisti e le taverne sono piene soltanto di greci, isolani che escono la sera oppure ateniesi che tornano ad aprire la seconda casa al mare. Durante questo lungo fine settimana ci sono pulman turistici che girano in lungo ed in largo per tutta l'isola e sulle strade che segnano le colline interne corrono molte più auto del solito, la maggior parte prese a noleggio. I negozi sono chiusi ma i musei di Pyrgos che l'altro giorno avevamo trovato chiusi oggi hanno aperto le porte per accogliere le comitive di turisti locali. Oggi è una giornata eccezionale ma nelle altre c'è poca gente che passa per le strade o entra nei caffè del centro o del lungomare.
Anche se l'inverno non è ancora iniziato, qui la vita sembra scorrere tranquilla e rilassata quando i turisti se ne vanno insieme alla stagione estiva.
Mauro si lascia scappare che vivere su un'isola in questo periodo non gli dispiacerebbe affatto: ed io allora devo riprendere in considerazione l'ipotesi di imparare a parlare il greco!
Scopriamo anche di essere dei turisti molto abitudinari: torniamo sempre negli stessi posti.
Anche per mangiare: se un locale ci piace per l'atmosfera rilassata e per il menù variegato, se ha degli arredi interessanti ed un divanetto accogliente, se c'è poco gente e se la cordialità è di casa, allora quello è il nostro locale preferito. E non ci importa poi molto di "sperimentare" anche i locali vicini, per provare qualcosa di diverso: andiamo a colpo sicuro ad occupare il nostro "solito" tavolo nell'angolo.
Mentre sorseggiamo il nostro "solito" caffè frappè, riflettiamo su un altro paio di cose.
La connessione internet, una delle tre costanti dell'universo, qui a Tinos, diversamente da altre isole Cicladi, è molto buona e non è mai stato difficile accedere ai siti di nostro interesse. Tutte le taverne hanno un'ottimo servizio wi-fi ed è molto facile accendere il cellulare, cercare la rete locale, chiedere la password, inserire i dati e restare collegati per ore ed ore. Possiamo così, facilmente e ripetutamente, controllare le previsioni meteorologiche, la nostra fonte di informazioni per decidere se restare a terra o se riprendere il mare (in questi giorni sembra ci sia una sola possibilità: restare a terra!). Affrontare la navigazione con questa abbondanza di notizie è molto confortante: abbiamo dati abbastanza attendibili sulla forza del vento, lo stato del mare, l'altezza delle onde, la temperatura dell'aria e dell'acqua, il rischio di pioggia o di tempesta...
La facilità di accesso ad internet ci riserva anche qualche altro vantaggio.
Ci tiene in contatto con parenti ed amici, e durante un viaggio così lungo non è cosa di poco conto: non abbiamo ancora cominciato a soffrire di nostalgia e forse è proprio grazie ai ripetuti messaggi scambiati su Facebook o su Whatsapp; non abbiamo dovuto tagliare i ponti con nessuno, neanche con i colleghi di lavoro, tanto che da quaggiù riesco ad organizzare corsi di kayak per la prossima stagione invernale; non abbiamo alcun problema nel sentire amici lontani, come se fossero qui dietro l'angolo, e a chiedere e a dare aggiornamenti sulle nostre rispettive vite... Insomma, viviamo al tempo stesso il "qui ed ora" del viaggio intenso e coinvolgente ed il legame per quanto flebile col resto del mondo.
Internet ci permette anche di approfondire alcuni argomenti di comune interesse o di stringente attualità. Sia mentre aggiorniamo il blog dedicato al viaggio, sia mentre chiacchieriamo a tavola o in tenda (in kayak ci capita molto meno, presi come siamo a gestire il mare!), ci ritroviamo spesso a voler approfondire qualcosa di più su questo o quello: abbiamo per esempio scoperto che il "tachini", uno degli ingredienti dell'hummus, la salsa di ceci diffusa in Grecia ed in Medio Oriente, è una pasta di semi di sesamo bianco che viene tostato, triturato ed allungato con olio di sesamo "fino a formare una pasta simile al burro di arachidi ma di consistenza più fluida" (da Wikipedia!); oppure abbiamo capito che le farfalle non vivono un giorno soltanto ma fino ad un paio di settimane e, a seconda delle specie, anche per alcuni mesi (e quelle delle Cicladi devono essere particolarmente longeve perché continuano a volare intorno ai nostri kayak); o ancora, abbiamo imparato che il marmo verde di Tinos è proprio un marmo di colorazione speciale e conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo.
Per non parlare dei vari terremoti, colpi di stato, referendum e via discorrendo.
Anche quando siamo a cena possiamo cercare gli ingredienti di ogni piatto tradizionale e scoprire dalla ricetta se saremo o meno in grado di riproporla ai nostri amici una volta tornati a casa...

Al termine della nostra visita di Tarambados
In esplorazione lungo i sentieri di Tarambados
Di ritorno alla fermata dell'autobus per Panormos
La barca si chiama Meltemi!

Sabato 29 ottobre 2016 - 128° giorno di viaggio
Panormos - Panormos, Tinos (0 Km)
Vento N 24-28 nodi (F6-7) - Mare agitato - Temperatura 16°C
Oggi invece andiamo a visitare Tarambados, un paese al centro dell'isola divenuto famoso per le sue numerose colombaie.
L'isola di Tinos vanta oltre 600 cappelle tra ortodosse e cristiane (anche se non abbiamo capito come distinguere le une dalle altre) e circa 90 mulini ad acqua e a vento (molti dei quali sono andati distrutti e soltanto una decina ha resistito all'assalto del tempo). Il numero più impressionante, però, è quello relativo alle colombaie: ce ne sono più di mille!
Le prime sono state costruite durante la dominazione veneziana ed erano un privilegio esclusivo dei vari signori e signorotti, simbolo della loro ricchezza e nobiltà, tanto che avevano addirittura ottenuto un diritto speciale riconosciuto a livello europeo, il "droit de colombiers". Nei secoli successivi, specie durante il XVIII e XIX secolo, le colombaie sono state realizzate anche dai contadini locali e possederne una dava prestigio sociale. Se ne trovano molte nelle vallate protette dai venti, vicine a fiumi e torrenti e a campi coltivati, così i colombi trovavano e trovano con facilità sia acqua e cibo sia il modo di tornare al nido.
Le colombaie di Tinos, come quelle delle altre isole Cicladi e a differenza delle famose colombaie a torre del Salento italiano, sono costruzioni in pietra di ardesia imbiancate a calce, di dimensioni modeste, con un'unica stanza interna, per lo più quadrata, con una porticina aperta in basso e con due piani sopraelevati: quello inferiore è usato come ripostiglio per gli attrezzi della campagna e come cantinola per i prodotti agricoli, mentre quello superiore accoglie le nicchie interne per fare nidificare le coppie di colombi. I nidi sono sistemati a qualche metro da terra, sopra pareti lisce prive di scale, per evitare che i vari predatori (gatti, tipo e serpenti) possano raggiungere le uova.
Le colombaie di Tinos sono decorate con i cosiddetti "ricami architettonici", lastre di scisto che formano rombi e triangoli e segni particolari, come soli, ruote e cipressi. Le decorazioni costituiscono anche dei piccoli ripari esterni dove i colombi possono atterrare oppure prendere il volo. Anticamente i colombi erano apprezzati per le carni tenere e saporite, tanto che dalle Isole Cicladi erano esportate sott'olio o sott'aceto in tutta la Grecia e fino a Smirne e Costantinopoli, dove vivevano molti greci. Oggi che alcune colombaie dell'isola sono state restaurate (una guida parla di circa 140 colombaie riportate agli splendori di un tempo), i colombi sembrano essere lasciati liberi di volare sui campi intorno e non sembra che vengano allevati neanche per i loro preziosi escrementi, che contengono colombina, utile nella concia delle pelli.
Mentre noi visitiamo la vallata di Tarambados, il cielo nero e carico di nuvole scure si illumina a tratti del bianco brillante dei colombi di Tinos. Volano in gruppi numerosi e seguono tutti le stesse traiettorie, dalle colombaie ai campi, dai campi alle fonti. Accanto ad ogni colombaia, infatti, sono state costruite delle vasche ampie ed alte anche un paio di metri, alimentate dall'acqua che scende dalle sorgenti vicine: su alcune troviamo disposte in bell'ordine delle canne per far posare i colombi senza pericolo di essere raggiunti dai predatori.
In tutta la vallata c'è un'atmosfera rilassata e tranquilla. Aleggia un intenso profumo di aranci, limoni e mandarini e lungo uno dei sentieri più impervi troviamo delle querce che producono ghiande racchiuse in un cappello particolare, tutto pieno di piccole scaglie che lo fanno sembrare decorato come le colombaie.
E' ora di rientrare: aspettiamo l'autobus alla fermata dove ci ha scaricato all'andata. Insieme a noi, giungono trotterellando un bel gatto maculato in cerca di coccole e che subito prende a farci le fusa, ed un grande mucca bianca e nera che per fortuna prende presto un'altra strada.
Rientriamo alla base: la nostra taverna preferita è già aperta e ci accoglie per il resto della giornata.
Domani riproviamo a prendere il mare, Meltemi permettendo!

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mercoledì 26 ottobre 2016

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Longitudine:25.05205
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Messaggio:Cicladi Kayak Tour 2016.
Stiamo bene e il viaggio prosegue come programmato...

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martedì 25 ottobre 2016

Check-in/OK messaggio dal Tatiyak SPOT Localizzatore SPOT Personal Tracker

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Latitudine:37.65178
Longitudine:25.05205
Posizione GPS Data/Ora:10/25/2016 17:24:22 CEST

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lunedì 24 ottobre 2016

Andros tra venti catabatici e lunghe attese

Lunedì 17 ottobre 2016 - 116° giorno di viaggio
Gavrio - Gavrio, Andros (0 Km)
Vento N 25-29 nodi (F6-7) - Mare mosso - Temperatura 20°C
La notte è stata lunga e tranquilla.
Il Meltemi sorge insieme al sole e ci costringe a fare colazione in tenda. Ma il risveglio è lento e dolce più del solito perché la sera prima abbiamo fatto ottimi acquisti alla pasticceria più rifornita del porto di Gavrio: biscottini farciti di bacche di goji e arance candite ricoperte di cioccolato amaro.
Siamo a pochi minuti dal paese, appena oltre il promontorio sormontato dall'unico mulino a vento ancora visibile, anche se del tutto privo di pale e di tetto.
Gavrio è un piccolo borgo marinaro del nord di Andros, ma la sua posizione geografica ne ha fatto un centro molto vivace, non soltanto in estate: dal suo porto, situato in un profondo golfo naturale, partono ogni giorno diversi traghetti, sia per le isole limitrofe che soprattutto per Rafina, il porto più vicino dell'Attica, alternativo al Pireo di Atene per i collegamenti marittimi nazionali. Il paese si snoda intorno al molo, ampliato di recente: da un lato dondolano i caicchi colorati per le escursioni alle belle spiagge del versante nord-occidentale dell'isola ed i pescherecci sempre armati di reti e lampare, dall'altro aspettano a porte aperte l'arrivo dei turisti una serie di agenzie marittime, di caffè e ristoranti, di negozi senza grandi pretese, lontani anni luce da quelli di Mikonos. La maggior parte sono ormai chiusi, ma ce ne sono diversi che forse lavorano tutto l'anno, a giudicare dalla clientela quasi esclusivamente greca: ci siamo solo noi ed una coppia di tedeschi, riconoscibili per i calzini sotto i sandali... un momento, a pensarci bene, anche noi indossiamo sandali con calzini!
Il vento è molto forte, dato in aumento già dal primo mattino.
Le raffiche imbiancano la baia di Gavrio e noi decidiamo di trascorrere la giornata a terra.
Bighelloniamo su e giù per il lungo mare, osservando per qualche lungo minuto le abili manovre di attracco di uno dei tanti traghetti di linea, che riparte in tutta fretta e molto inclinato su un lato, non certo per il vento ma più probabilmente per il carico mal distribuito.
Poi ci infiliamo in un bar che sembra un bazar, con gli arredi interni decò caldi ed avvolgenti di quelli che piacciono a me: mensole ricolme di teiere di latta e di ceramica, di anfore in cotto vecchie ed antiche, alcune ripescate dal fondo del mare ed incrostate di conchiglie e coralli, di lampade realizzate con i più svariati materiali, dai pezzetti di legno raccolti in spiaggia alle pietre di scisto dell'isola ai vetri di vari colori, e poi ancora frutta e fiori secchi intrecciati, strumenti musicali, marionette di madreperla, stampe d'altri tempi e specchi con le cornici dorate a riempire tutte le pareti.  
Il vento fuori stira le bandiere, piega le piante, ulula tra le case vicine ed induce i nuovi avventori a rifugiarsi nella sala interna insieme a noi, mentre la ragazza del bar ritira i cuscini verdi che imbottiscono le belle poltroncine in ferro battuto della veranda esterna. Le nuvole corrono alte nel cielo, bianche come quelle dipinte nei quadri, veloci come se fossero impegnate in una gara, morbide nell'avvolgere le colline vicine al mare e così spumose ed impalpabili da non avere pioggia da scaricare a terra.
Il golfo di Gavrio è solcato da frangenti sempre più fitti ed investito da raffiche sempre più violente, di quelle che sollevano le onde per aria fino a farle scomparire in milioni di goccioline colorate. E' uno spettacolo affascinante, visto da dietro le vetrate del bar!
Fortuna che i bar-caffè greci sono un po' come quelli francesi, dove puoi trascorrere ore intere in un dolce far niente senza che nessuno ti dica niente: nel "nostro" aleggia una soffusa musica anni Settanta, che è molto piacevole da ascoltare o da lasciare in sottofondo alle nostre chiacchiere.
Ad un certo punto della giornata, quando abbiamo quasi perso il senso del tempo, ci spostiamo nella taverna dove abbiamo cenato anche ieri sera: ci ha conquistato con la ricca insalata dello chef e con le porzioni generose. Possiamo anche tirar tardi, perché abbiamo scovato un bel posticino riparato dove montare la tenda, che presenta l'unico limite di essere un po' troppo lontano dai kayak, ma anche dalla spiaggia battuta dai venti catabatici che le previsioni annunciano in aumento proprio durante la notte.

Il campo per una notte di Gavrio ad Andros
Il primo incontro col Meltemi a Gavrio
Il nano-faro del porto di Gavrio ad Andros 
L'Eubea sullo sfondo
Navigando verso il nord-ovest di Andros

Martedì 18 ottobre 2016 - 117° giorno di viaggio
Gavrio - Gavrio, Andros (0 Km)
Vento N 29-34 nodi (F7-8) - Mare agitato - Temperatura 18°C
Meno male che ci sono le case-vacanze: faranno pure tristezza così chiuse e vuote ma almeno offrono un riparo sicuro a due viandanti del mare in cerca di un angolino ridossato dal vento. Peccato solo che il vento non ci abbia dato tregua: ha soffiato imperterrito per tutta la notte e anche se il nostro angolino era ben incassato tra le alte pareti bianche di questo resort ancora in costruzione, le raffiche hanno fatto sbatacchiare ogni cosa all'intorno, le recinzioni, le verande e le palme nane, che con le loro foglie esterne ormai secche facevano un rumore come di passi che si avvicinavano. Il telo esterno della tenda si è sganciato e sollevato almeno tre volte, abbiamo dovuto ritirare anche le ciabatte perché se ne andavano in giro per tutto il giardino e ogni volta che una raffica più forte delle altre sembrava essersi esaurita, per lasciarci qualche momento di tregua e magari riuscire a riprender sonno, ne arrivava un'altra ancora più violenta a provocare rumori ancora più forti...
Insomma, una notte insonne. Resa ancora più infausta dal materassino di Mauro che si sgonfia all'improvviso: è il terzo materassino che l'Uomo di Ferro "consuma" dall'inizio del viaggio! E proprio stanotte che dormiamo su un duro pavimento di pietra invece che sulla sabbia soffice della spiaggia... Notte insonne da dimenticare!
La sveglia suona alle sette e mezza.
Non l'abbiamo (quasi) mai puntata perché ci piace troppo svegliarci con le prime luci del giorno che penetrano lentamente nella nostra tendina verde-azzurra. Ma stamattina dobbiamo muoverci prima del solito, sia per evitare che qualcuno ci sorprenda a dormire nel residence (dormire, si fa per dire: a restare svegli per il vento!) e sia per riuscire a salire sul primo autobus diretto alla Chora di Andros, dall'altra parte dell'isola, sul versante orientale (ce ne sarebbe anche un secondo appena mezz'ora dopo, alle dieci, ma lo abbiamo tenuto di "riserva" nel caso dovessimo perdere il primo, vista la scarsa dimestichezza che abbiamo dimostrato di avere con gli autobus alla Chora di Tinos!)
Il vento oggi è ancora più forte di ieri!
E' incredibile e quasi spaventosa la violenza con cui si scarica a terra per poi raggiungere il mare: uno spettacolo affascinante, da osservare da un posto sicuro e caldo, come quello del caffè del porto, come abbiamo già fatto ieri, oppure come quello delle poltroncine dell'autobus, come facciamo oggi, mentre pian piano ci arrampichiamo su per le colline che corrono lungo tutta la costa occidentale di Andros (alla fine l'abbiamo preso, il primo autobus, e al primo colpo, anche se poi è partito con l'orario del secondo!).
L'isola di Andros, spiega un corposo depliant di una compagnia di navigazione greca, ha avuto diversi nomi: Andros in onore dell'eroe mitologico Andros o Andreas, figlio del dio Apollo e della ninfa Creusa, a sua volta figlia del dio Dioniso; Lassia per la densa vegetazione; Hydroussa per l'abbondante acqua fornita dalle molte sorgenti di montagna e dai vari fiumi che scorrono tutto l'anno, l'unica delle Isole Cicladi a vantare corsi d'acqua perenni.
L'isola vanta anche quaranta spiagge di sabbia e di ciottoli distribuite su tutti i versanti, così da poter godere dell'acqua cristallina che le lambisce in ogni giornata d'estate, andando a sud se i venti spirano da nord, e viceversa, muovendosi ad est se i venti arrivano da ovest, e viceversa. Un po' come stiamo facendo noi, che ci siamo rifugiati sul versante occidentale per trovare riparo dai forti venti che spirano da nord: speriamo presto di poter pagaiare anche lungo il versante settentrionale ed orientale, quando si sarà calmato questo Meltemi impertinente.
La Chora di Andros è molto grande, più delle altre, e anche molto bianca, più delle altre, forse perché il colore delle case risalta di più qui, dove ci sono i tetti rossi accanto alle solite porte dipinte di blu. Ma è anche molto triste: nessuno sorride, forse perché sono tutti stanchi per la fine della stagione turistica, ma non ridono neanche i ragazzi, quelli che escono da scuola e salgono con noi sull'autobus del ritorno. E' anche molto ventosa, specialmente oggi: riusciamo a malapena ad affacciarci alla famosa terrazza su cui campeggia la statua del marinaio che saluta il mare, opera dal chiaro stampo sovietico offerta dai russi dopo la seconda guerra mondiale e posta nel luogo in cui i bombardamenti tedeschi avevano distrutto le case dei pescatori. Ora c'è questa grande spianata affacciata sull'isoletta rocciosa poco distante, su cui i veneziani nel 1200 avevano costruito il Kastro. Non è visitabile, benché una delle guide parli di un ponte che unisce l'isoletta all'isola madre, ma in realtà si tratta di una volta di pietre che a malapena sopporta le sferzate del vento, figurarsi l'arrampicata di qualche turista avventuroso.
Ma forse non l'abbiamo visitata a dovere, la Chora di Andros, e non abbiamo apprezzato i suoi palazzi neoclassici mescolati alle vecchie case in pietra. Il vento forte ci ha costretti ben presto a rifugiarci nel primo bar del centro: scegliamo quello sulla via principale e pedonale, con le poltroncine imbottite e le belle travi a vista, poco distante dalla fermata dell'autobus. Consumiamo una colazione tardiva ma ci affrettiamo ad uscire perché dentro fa quasi più freddo che fuori.
Lasciamo un po' delusi il porto di sud-est per tornare baldanzosi al porto di nord-ovest: abbiamo deciso di cercare un albergo! Non ce la faremmo a sopportare un'altra notte insonne in balia dei venti. Capitoliamo al Meltemi e dormiamo al chiuso, su un letto vero, avvolti da lenzuola e coperte fresche di bucato: tale è l'emozione che ci dimentichiamo di far partire Spot!

Il Kastro di Makrotantalo di Agios Sostis - Pyrgos ad Andros 
L'alba dal campo di Agios Sostis sulla baia di Pyrgos
La partenza dalla caletta di Agio Sostis
Mauro sotto il faro in pietra del capo nord-ovest di Andros
L'alba dalla spiaggia di Ateni ad Andros

Mercoledì 19 ottobre 2016 - 118° giorno di viaggio
Gavrio - Piso Limiona, Andros (10 Km)
Vento N 20-23 nodi (F5-6) in attenuazione dalle ore 12,00 - Mare poco mosso - Temperatura 17°C
Il risveglio in albergo è un po' straniante: non si sentono i galli cantare o gli uccellini pigolare accanto ai kayak, non si sente la risacca che sembra voler entrare in tenda, non si sentono neanche i rumori della strada e della città poco distante. Non si sente niente. Neanche l'odore del mare, o il profumo della macchia. Si sente però puzza di bruciato. E si sentono le sirene spiegate dei camion dei pompieri che si affrettano a domare l'incendio che si sta mangiando la collina appena dietro il nostro albergo. Quando usciamo per tornare ai kayak notiamo che il fuoco è arrivato fino al mare, scavalcando per il forte vento persino la strada litoranea. Però è stato fermato dai muretti a secco e quelle pietre accatastate in bell'ordine servono allora non solo a delimitare le proprietà terriere e a tenere gli animali al pascolo nei giusti appezzamenti, ma anche a contenere il fuoco appiccato da chissà chi (perché in questo periodo non è plausibile pensare all'autocombustione...)
C'è ancora vento, ma le raffiche sembrano essersi attenuate ed i frangenti che ieri imbiancavano il mare già vicino riva oggi si formano soltanto al largo, verso le isolette disabitate che proteggono l'ingresso del porto di Gavrio.
Guardiamo ancora un po' il mare blu, interdetti sul da farsi: vorremmo ripartire perché siamo stanchi di stare ancora nello stesso posto, anche se il paesino di Gavrio è uno dei più accoglienti dell'isola, per quando ci è dato sapere; siamo anche soddisfatti dell'esperienza in albergo, ma non abbiamo nessuna intenzione di ripeterla; siamo un po' stanchi di pagaiare contro vento, ma oggi sembra che i venti catabatici siano in qualche modo domabili. Forse riprenderemo il mare, ma intanto andiamo in porto per controllare le previsioni meteorologiche e per fare colazione nel nostro bar-bazar preferito (gli altri sono pure molto ben tenuti, ma questo ci sembra l'unico ad aver una sua anima vibrante): ordiniamo caffè frappè, frullato di banana, torta di arance e torta di limone, yogurt con frutta fresca per me e yogurt con le noci per Mauro.
Bene, dopo il pieno di zuccheri, siamo euforici abbastanza per decidere di risalire in kayak!
Facciamo spesa al market sul porto e ripetiamo per l'ennesima volta il gioco del puzzle: anche oggi tutto entra nei gavoni come per magia e possiamo chiudere i tappi senza tenere nulla sui ponti. Poi saliamo finalmente in kayak e, come al solito, ci bagniamo i piedi: per la prima volta realizziamo che l'acqua è più calda dell'aria ed è doppiamente piacevole riprendere il mare.
Ci capita anche, durante la navigazione, di dovere infilare le mani in acqua per scaldarle un po', perché le raffiche sembravano in attenuazione vicino al porto ma appena oltre il promontorio del nano-faro riprendono ad intensificarsi, del tutto incuranti delle previsioni meteo che le davano in calo a partire dall'ora di pranzo. Sono le tre del pomeriggio e siamo ancora investiti da raffiche di 20 nodi che, all'imboccatura del golfo di Gavrio, ci fanno correre a dieci chilometri orari, ma appena dentro la baia successiva ci bloccano a due-tre chilometri orari.
E sempre ci raffreddano le mani fino a farle intorpidire. Fortuna che l'acqua è così calda!
Mi sarei un po' stufata di pagaiare sempre e solo controvento: vorrei sperimentare qualche diversa andatura, se possibile, anche se Mauro sembra impassibile e pagaia sempre come se nulla fosse.
Ma la sfacchinata oggi per fortuna dura poco: appena il tempo di passare un altro paio di baie, investite dai soliti antipatici, frustranti, dispettosi e freddi venti catabatici. L'ultima baia che avremmo voluto raggiungere, appena prima del pronunciato promontorio di Agios Sostis è occupata da un gigantesco allevamento ittico e le sue vasche, contornate di bordi galleggianti gialli e blu, sono visibili anche da una certa distanza. Conosciamo bene l'odore acre e nauseabondo che talvolta emana dagli allevamenti ittici e rinunciamo volentieri a combattere contro i venti contrari che soffiano anche in quell'ultima baia.
Sbarchiamo appena dopo le cinque del pomeriggio ed avvertiamo un certo freddino sia ai piedi che alle braccia: ci affrettiamo a lavarci, asciugarci e cambiarci e ci vestiamo di tutto punto per cenare dietro la tenda, che abbiamo montato tra i kayak e che ci protegge dalla brezza della sera che sale dal mare. Il tramonto è di fuoco e ce lo godiamo tutto, senza dover sbirciare fuori dalla finestra come ci è capitato ieri sera in albergo. Stanotte abbiamo la sabbia a farci da cuscino e la risacca a farci da colonna sonora: sarà una notte dolce e lieve e lunga.  

Fallo un salto sotto la doccia, no?
La costa nord di Andros
Il relitto del "Semiramis" nella baia di Vromi ad Andros
Troppo ferro in acqua
In navigazione lungo la costa settentrionale di Andros

Giovedì 20 ottobre 2016 - 119° giorno di viaggio
Piso Limiona - Pyrgos, Andros (6 Km)
Vento N 16-19 nodi (F4-5) in attenuazione dalle ore 12,00 - Mare mosso - Temperatura 18°C
Abbiamo dormito una meraviglia: le nostre solite dodici ore.
Mauro è riuscito anche a riparare il suo materassino e ha passato la notte sul morbido.
Prima di partire indossiamo le giacche d'acqua a maniche lunghe: è la prima volta dall'inizio del viaggio ma ieri ci siamo accorti che quando il vento soffia in direzione contraria, come sarà anche oggi, le braccia restano esposte e prendono freddo. Dobbiamo riguardarci, cominciamo ad avere una certa età, noi e le nostre giacche d'acqua: la mia è una vecchia giacca con inserti di tre diversi colori, rosso, verde e nero, che ho comprato insieme al kayak nel gennaio del 2001; la giacca di Mauro, invece, risale alla prima Maremarathon dell'Elba, come omaggio agli istruttori presenti da parte della Uisp... due giacche storiche, che non sono più impermeabili, nonostante i ripetuti trattamenti di plastica spray all'interno, nel tentativo di tenerle ancora in vita, almeno per questo viaggio; ma abbiamo preferito queste giacche "storiche" a quelle più moderne, che pure abbiamo, perché sono molto meno ingombranti e perché... speravamo quasi di non doverle usare affatto, anche se sospettavamo che l'ultima parte del viaggio ci avrebbe riservato temperature più basse e qualche scroscio di pioggia.
Servono. Le giacche d'annata sono tremendamente attuali.
Fa freddo e tira vento. Ovviamente contrario. Vento più forte delle previsioni. Non sembra avere nessuna intenzione di calare. Ed infatti non cala.
Dovremmo affrontare una decina di chilometri verso nord per doppiare il capo nord-occidentale di Andros e poi un'altra decina di chilometri verso est per superare il capo nord-orientale dell'isola. Sono giorni che vorremmo scapolare ed iniziare a scendere lungo il versante orientale: oggi eravamo più determinati del solito, ma niente, il Meltemi non ci lascia passare.
I primi dieci chilometri, che sarebbero stati tutti controvento, si riducono presto a sei: tutti controvento, talmente controvento che l'andatura scende drasticamente a due chilometri orari, un nodo appena, uno sfinimento. Rinunciamo.
Cerchiamo rifugio nella caletta ridossata di Pyrgos, che vedevamo già da un paio d'ore e che ci è costato un sacco di fatica raggiungere. E' una piccola cala inconfondibile, incassata dietro un promontorio conico sormontato dai resti di un antico Kastro dal nome bellissimo, Makrotantalo, di cui sono rimaste soltanto alcune costruzioni in pietra quasi completamente mangiate dal vento.
Questi primi ed ultimi sei chilometri ne sono valsi venti: le onde sono alte un metro o poco più, ma sono tutte frangenti e quando raggiungono i Voyager si schiantano sui ponti e ci inondano di spruzzi; sono anche onde dispettose perché spesso sono così ravvicinate che, non appena riusciamo a superarne una, l'altra ci morde le prue, senza lasciarci il tempo di riprenderci dal primo scossone. E' un avanzare scoordinato, oltre che impegnativo, e capiamo presto che non è proprio il caso di affrontare la costa settentrionale in queste condizioni: su ogni promontorio del nord incontreremmo lavatrici anche più disordinate di quelle appena passate ed il Meltemi ci impone un'andatura così lenta che impiegheremmo oltre cinque ore per arrivare sull'altro versante. Inoltre, non riusciremmo a fare una sosta perché le molte calette aperte sulla costa nord sono tutte talmente esposte da accogliere onde formate e da presentare zone di surf.
Insomma, a malincuore, ma dobbiamo accorciare drasticamente la tappa odierna.
Sbarchiamo che sono le due appena suonate e nonostante le previsioni lo dessero in attenuazione, il vento non ci pensa proprio a diminuire d'intensità.
Dobbiamo cambiarci in tutta fretta perché le raffiche ci fanno rabbrividire dal freddo.
Per mangiare dobbiamo nasconderci dietro la chiesetta bianca che sovrasta la spiaggia: lì, per fortuna, non tira un alito di vento. Sembra di essere entrati in pochi minuti in un'altra dimensione: quando le nuvole non coprono il sole, fa talmente caldo da sudare. Sono del tutto inaspettati e piacevoli, questi momenti senza vento e con un tepore inusuale per la fine di ottobre!
Passiamo il resto del pomeriggio sdraiati sui sedili in pietra della chiesa a guardare le nuvole che corrono in cielo, sempre veloci come dei razzi, sempre bianche come dei batuffoli di cotone, sempre sfilacciate come delle vecchie bandiere.
Approfittiamo della sosta forzata per fare qualche altra riparazione d'ordinanza: oggi è la volta del giubbotto di Mauro che si è scucito sui fianchi e che aspetta da giorni di essere riparato con la solita mano di colla neoprene.
Guardiamo ancora le nuvole, sembrano avere rallentato la loro corsa, e quando lanciamo un ultimo saluto al mare, anche lì le onde sembrano essersi quasi fermate.
Moriamo dalla voglia di superare 'sta benedetta costa settentrionale di Andros: abbiamo guardato e studiato e ripassato talmente tante volte la carta che l'abbiamo quasi mandata a memoria!
Montiamo la tenda che sono appena le sei, ceniamo che non sono neanche le sette e ci infiliamo nei sacchi a pelo alle otto in punto.
Speriamo che domani sia davvero un altro giorno.

I bei faraglioni di Akrotiri Rozos visti da nord
Gli stessi faraglioni visti da sud
Alcune rocce verdi
La costa rocciosa al nord di Andros
Il bel faro in pietra di Akrotiri Gria ad Andros  

Venerdì 21 ottobre 2016 - 120° giorno di viaggio
Pyrgos - Ormos Ateni, Andros (28 Km)
Vento N 8-10 nodi (F3) - Mare poco mosso - Temperatura 19°C
Ecco, forse oggi ce la possiamo fare!
Sembra che la tanto attesa attenuazione che ieri si lasciava desiderare, oggi si sia finalmente decisa ad arrivare. Quando ci svegliamo al suono della sveglia delle sette, le prime luci dell'alba colorano di rosso la baia e ci lasciano intravedere un mare quasi calmo, appena increspato. Quando usciamo dalla tenda, quasi un'ora dopo (perché per la prima volta facciamo colazione al chiuso), scopriamo che le onde si sono davvero spianate e che l'unico segno lasciato dal Meltemi è il curioso intreccio di correnti superficiali che si disegnano nella cala: sotto il Kastro ci sono le ultime bave di vento che rientrano dal mare e che spostano l'acqua verso l'interno, all'altra estremità della spiaggia la leggera brezza del mattino scende dalle montagne e sposta l'acqua verso l'esterno, poco più in là altre folate spostano l'acqua in un'altra direzione e poco oltre l'acqua si muove in senso contrario, in una sequenza che cattura l'attenzione (la mia! mentre Mauro è tutto preso a controllare le riparazioni del giubbotto).
Siamo entrambi sorpresi dal gran numero di farfalle che ci sono in giro a fine ottobre: sono già un paio di giorni che notiamo queste belle farfalle dalle ali nere puntinate di rosso e bianco, forse tipiche delle Cicladi perché le abbiamo incontrate già nei mesi passati sulle altre isole. Pensavamo però che le farfalle non riuscissero a sopportare i primi freddi... che oggi per la verità non si avvertono.
Il sole splende alto in cielo, completamente libero e di un azzurro intenso.
Guardiamo ancora una volta l'Isola di Eubea, che ci guarda dall'altra parte dello stretto: riconosciamo da lontano il parco eolico che occupa la sommità delle sue montagne brulle perché quando eravamo intenti a completare il periplo dell'isola, nell'estate del 2013, avevamo passato una notte sotto alcune di quelle pale e ci eravamo resi conto solo allora di quanto siano rumorosi i moderni mulini a vento rispetto a quelli del passato: avevamo dormito poco e male, con quel suono sinistro nelle orecchie, come di grandi sciabolate inferte nell'aria, che speri rimangano lontane ma che nel silenzio della notte senti sempre più vicine.
Ora quelle pale eoliche, che sembrano ancora più numerose di allora, si confondono dietro la foschia che avvolge il canale tra l'Eubea e Andros. Si riconoscono a malapena anche le porta-container che senza sosta solcano lo stretto in ogni direzione. Forse loro non risentono della corrente, ma noi dobbiamo in qualche modo subirne gli effetti, perché, come ieri, avanziamo con fatica: il portolano dice che, quando soffia il Meltemi, come oggi, lo stretto di Doro tra Andros e l'Eubea è percorso da una corrente tra 1.5 e 4 nodi in direzione sud-ovest, quindi esattamente contraria alla nostra rotta, che neanche a farlo apposta è proprio nord-est! Il Pilot britannico parla addirittura di 7 nodi e se nel centro del canale questi valori sono plausibili lungo costa saranno ridotti ma pur sempre percettibili. Devono esserci anche delle correnti di ritorno: quando superiamo un capo pronunciato la nostra velocità di crociera scende di un nodo, quando invece rientriamo in una cala più o meno ampia aumenta di un nodo, per la corrente che quasi certamente si genera nelle varie rientranze della costa. E' un procedere a singhiozzo ma anche molto interessante. Almeno non ci sono onde ad ostacolare il nostro avanzare: le uniche che solcano il mare fino al capo nord di Andros sono tutte molto lunghe e regolari, quasi come quelle oceaniche, alte anche un metro ma senza più frangenti. Acqua che sale e acqua che scende.
Così arriviamo senza grandi fatiche al faro di Akrotiri Fasa, un bella costruzione intonacata di bianco e costruita un poco all'interno sulla sommità del promontorio più alto. Da lì in avanti le scogliere della costa settentrionale dell'isola sono tutte molto accattivanti, solcate da striature di vari colori che corrispondono alle diverse stratificazioni geologiche: è tutto un sovrapporsi di nero antracite e marrone testa di moro, di grigio perla e grigio tortora, di giallo crema e bianco panna, di verde oliva e rosso mattone, in un gioco di inserti che farebbe la felicità di qualsiasi appassionato di rocce... E' in momenti come questi che mi manca la compagnia del mio fratellino geologo: avrebbe saputo spiegarci a cosa corrisponde ogni colore e avrebbe riempito di descrizioni sapienti i dieci chilometri che ci separano dal capo di nord-est. Prima ancora di raggiungerlo, scegliamo di fare una breve sosta in una delle belle cale che si aprono sul versante nord, l'unica che rientra ad uncino per quasi cinquecento metri, come a voler scomparire tra le scogliere lavorate e la profonda gola che si apre verso l'interno. La baia di Dimoliti ospita una delle spiagge più belle dell'isola e al tempo stesso una delle più sporche: come sempre succede per le spiagge orientate verso nord, il mare scarica oltre la battigia una quantità inenarrabile di immondizia, da frigoriferi a cime d'ormeggio, da ciabatte spaiate a cassette di polistirolo, da buste di plastica di vari colori e dimensioni ad una serie di palloni da bambini, da pallavolo e da calcio. Troviamo anche, e con grande tristezza, la carcassa di un giovane esemplare di tartaruga Caretta caretta, rimasto impigliato ad una lenza da pesca che è penetrata persino nelle carni... Quel che noi gettiamo in mare, il mare rigetta a terra, e a farne le spese sono spesso le creature più indifese.
Proseguiamo un po' mogi verso il capo di nord-est, la meta attesa da almeno cinque giorni.
Oggi riusciamo finalmente a raggiungerlo e a superarlo.
Poco prima di doppiarlo, notiamo delle belle stalattiti a tendaggio che scendono lungo la scogliera, nel punto in cui un fiumiciattolo che scende dai monti si tuffa in mare dall'altezza di qualche decina di metri, levigando nella sua caduta le rocce rossastre che assumono l'aspetto di veri e propri tendaggi, con onde molto morbide anche se di pietra.
Il mare in scaduta ci spinge lentamente lungo il versante orientale dell'isola, stavolta con un'andatura di tutto rispetto, che ci fa scivolare veloci accanto ad alcune tra le più belle baie di tutte le Cicladi, specie se visitate a fine stagione, quando non ci sono né turisti in spiaggia né barche in mare.
Siamo soli in mare, notiamo con grande piacere.
E con piacere raggiungiamo anche la nostra meta odierna, una lunga e bella spiaggia di sabbia fine e dorata, così soffice che a camminarci sopra si affonda fino alla caviglia. C'è uno stagno retro-dunale e sembra che oggi sia la giornata degli incontri coi martin-pescatore, visto che ne abbiamo incontrato uno alla partenza, uno alla sosta ed uno ora all'arrivo, che vola veloce tra le canne e gli arbusti. Ci sono delle pecore che pascolano indolenti poco oltre e nella vallata si intravedono alcune casette bianche, mentre una chiesa si affaccia dal promontorio che chiude la baia sul lato nord. E' anche la spiaggia dei preziosi ritrovamenti: accanto a due ombrelloni dismessi dal cappello quadrato e ricoperto di canne e foglie di palma, ormai tutte scompigliate dal vento, ci sono anche due vecchie reti da pesca con dei galleggianti di sughero, esattamente quei rari e (quasi) introvabili galleggianti che io desideravo trovare da tempo immemore. E' una giornata davvero fortunata!
Sono appena le cinque del pomeriggio e visto che la spiaggia è tutta per noi ne approfittiamo per montare subito la nostra tendina. Meno male, perché senza alcun avvertimento, scende una pioggerella leggera ed insistente che ci costringe a cenare chiusi in tenda: Mauro ha appena cucinato una tripla razione di noodles, gli spaghettini giapponesi inodori e insapori, che sembrano sposarsi alla perfezione con questa serata funestata dalla pioggia.
Ma le goccioline ticchettano sulla tenda per poco tempo e quando usciamo per un ultimo sguardo al mare ritroviamo il cielo stellato e in bell'ordine quasi tutte le nostre costellazioni preferite.
Domani sarà un'altra lunga giornata di navigazione: dobbiamo riuscire a dormire le nostre "solite" dieci ore.

La grotticella della pioggia di Ormos Theotokos sulla costa orientale di Andros
Il bellissimo faro della Chora di Andros, il faro Tourliti
Il temporale ci insegue
La tettoia del caffè-bar nel porto di Korthiou
La nostra darsena nel porto di Korthiou

Sabato 22 ottobre 2016 - 121° giorno di viaggio
Ormos Ateni - Ormos Korthiou, Andros (32 Km)
Vento SW 6-13 nodi (F3-4) - Mare poco mosso - Temperatura 20°C
Procediamo a tappe forzate.
Abbiamo controllato le previsioni almeno due volte al giorno: i tre siti consultati sono tutti concordi nell'arrivo di un nuovo fronte nuvoloso, che a partire dal prossimo lunedì e per i due giorni successivi porterà venti forti da nord, con raffiche di oltre 30 nodi. Visto il costante calo delle temperature ed il rischio sempre più alto di pioggia, non vogliamo farci sorprendere in qualche baia dimenticata e non raggiungibile da terra, come ce ne sono tante sulla costa nord-orientale di Andros. Vogliamo aspettare l'arrivo del Meltemi in un luogo confortevole, un villaggio abitato e dotato di taverna, market e bancomat, nell'ordine i nostri servizi di prima necessità!
Una capretta dispersa e disperata ci sveglia ancora prima del suono della sveglia e ci tormenta con belati sempre più acuti mentre restiamo rintanati in tenda per consumare la prima colazione.
Una nuvolaglia grigiastra ci attende fuori dalla tenda e non sembra annunciare nulla di buono.
I venti da sud, come quelli di oggi, sono rari ed antipatici perché portano umidità e pioggia. Qui alle Cicladi i temporali estivi arrivano in fretta ed altrettanto in fretta se ne vanno, ma si sfogano con una forza che ogni volta ci stupisce, ed un po' ci intimorisce. Ora non sappiamo più dire se siamo ancora in estate oppure se siamo già precipitati in pieno inverno, ma ogni volta che cade qualche goccia di pioggia noi ci preoccupiamo prima di tutto per la resistenza della nostra povera vecchia tendina ultra-ventenne, poi per la tenuta delle nostre giacche d'acqua "storiche", ed infine per la sopravvivenza della mia girandolina, ormai del tutto scolorita e rimasta forse con soli tre petali (per non dire della bandiera italiana che Mauro sfoggia sul suo ponte posteriore e che ha perso nel vento quasi tutta la sua fascia rossa, letteralmente volatilizzata).
Saliamo in kayak che il cielo è chiuso dietro una spessa coltre nuvolosa.
La costa settentrionale di Andros è molto bella, disabitata e frastagliata, con tante baie nascoste tra le scogliere: solo alcune sono raggiunte da strade sterrate che scendono a zig-zag lungo il crinale delle colline interne, ricoperte di fitta macchia mediterranea, a conferma della abbondante presenza d'acqua sull'isola.
I colori oggi sono tutti un po' scialbi ma le scogliere sono lavorate in maniera molto fantasiosa e nella baia di Vromi, poco dopo la nostra partenza, incrociamo il relitto della chiatta "Semiramis", che è rimasto incagliato a pochi metri da riva e che impone sulle acque verdi queste lamiere arrugginite, spettacolari ed inquietanti al tempo stesso, che ci fanno riflettere sul motivo per cui le vecchie navi andate alla deriva vengono abbandonate in mare così a lungo. Pagaiamo poi tra i faraglioni di Akrotiri Rozos, una serie di cinque speroni rocciosi che sorgono dalle acque blu e profonde con i colori che tingono anche la costa: rosso amaranto, grigio verde, giallo ocra, marrone velluto e nero seppia.
Per qualche minuto esce il sole e accende tutte le tonalità del mare e della terra. Si accende anche un sorriso sui nostri visi, che però subito si smorza col sopraggiungere di nuvoloni prima bianchi e leggeri, come dei veli da sposa, poi sempre più scuri e pesanti, grigi come i gatti certosini, che come i felini avanzano in maniera sorniona dietro la catena montuosa di Andros. Appena doppiamo il bel faro in pietra di Akrotiri Gria, il capo nord-orientale dell'isola, le nuvole si addensano e, come era capitato nella tempesta perfetta di Kea, all'inizio di questo lungo viaggio alle Cicladi, anche questa volta si preparano a scaricare acqua a catinelle sulle nostre teste. Facciamo giusto in tempo a sbarcare nella piccola baia di Theotokos, e a calzare il cappello nord-ovest, che scende una pioggia torrenziale: vogliamo mangiare qualcosa ma non sappiamo dove trovare protezione dall'acqua (fredda, per giunta!). Proviamo prima sotto le piante che circondano uno stagno, a due passi dal mare, ma le gocce scendono ancora più pesanti, dopo essersi posate sulle foglie. Allora ci intrufoliamo in una grotticella che si apre proprio accanto ai kayak: c'è posto a malapena per due. Mentre cerchiamo di farci spazio per mangiare, a Mauro cade nella sabbia la scatoletta dei fagioli bianchi al sugo: non ci pensa due volte, li infilza uno ad uno, li sciacqua in mare e se li mangia. Tutti. Senza sugo e salati.
Attendiamo che spiova prima di riprendere a navigare.
Le nuvole continuano ad arrivare da sud, sospinte dai venti sempre più forti: sono accompagnate da lampi e tuoni ma contiamo i secondi che separano gli uni dagli altri per capire se il temporale si avvicina o si allontana.
Quando entriamo nel grande golfo del porto di Andros, quello che accoglie la Chora dell'isola, ci troviamo a dover fronteggiare anche un vento catabatico che, oggi, arriva dalla parte opposta: si infila nella profonda vallata alle spalle del paese principale e si tuffa in mare con una foga inaudita. Questa povera Chora è sempre battuta dai venti, da qualunque quadrante arrivino! Quando siamo venuti a visitarla, qualche giorno fa, tirava un deciso vento da nord, che si infilava in ogni vicolo, portando dal mare l'odore intenso della salsedine e quella strana sensazione di appiccicaticcio. Oggi che invece il vento soffia da sud, la cittadina è ugualmente sferzata dalle raffiche, che stavolta arrivano da terra, prendendola alle spalle ed investendola di polvere e terriccio. E' proprio presa tra due fuochi (anzi, due venti) e forse è per questo che rimane orgogliosamente arroccata sullo sperone proteso in mare che separa nettamente due spiagge quasi identiche, quella sul lato nord occupata in parte dal porto (in cui non abbiamo visto transitare nessun traghetto) e quella sul lato sud incoronata da una folta boscaglia di tamerici.
Per andare a fare una foto al faro che fronteggia il vecchio Kastro ci mettiamo una vita: dobbiamo pagaiare controvento per cinquecento metri appena, ma ci sembra un'eternità, tra i borbottii di Mauro e le sbuffate mie. E' il faro di tutte le cartoline ricordo di Andros, il faro Tourliti, arroccato su uno scoglio piccolo piccolo e circondato da una scalinata scavata nella roccia, che si avvolge a chiocciola e che sale dal mare fino alle pietre bianche della costruzione, che si innalzano eleganti verso il cielo. E' uno dei fari più belli che ci sia mai capitato di vedere, sembra quasi una miniatura dei fari francesi della Manica, specie oggi che, come quelli, è fustigato da vento ed onde. Sarebbe bello farci qualche giro attorno ma il tempo stringe ed i chilometri sono ancora tanti.
Fatichiamo ancora un'ora abbondante per raggiungere il promontorio più imponente di Akrotiri Melissa, passando una serie di golfi di forma triangolare in cui il famigerato vento da sud si incanala che è una meraviglia, con le conseguenti raffiche catabatiche che ci investono ogni volta che entriamo coi kayak in una di queste rientranze della costa.
Poi finalmente volgiamo le prue verso sud e speriamo di avere saldato ogni debito col venti. E invece no. Dopo trenta chilometri, quanto ci mettiamo per coprire gli ultimi due?!? Appena 54 minuti! Uno strazio. Soprattutto per le mie spalle: arrivo a terra con tutte le ossa rotte!
Ci ricordiamo che i nostri Voyager sono due panfili e senza esitare sbarchiamo nel porto.
All'inizio del viaggio, tutti ci chiedevano da dove eravamo partiti e rimanevano a bocca aperta quando dicevamo "Atene"; poi c'è stato un momento in cui hanno smesso di chiederci da dove venivamo e ci dicevano invece di averci già visto su qualche altra isola; adesso che i turisti sono andati via e ci sono soltanto i locali, non ci dicono niente ma fanno delle facce strane, sorprese e basite, come se avessero visto dei marziani. Il pescatore che sul molo sta sistemando il suo bel gozzo bianco e blu aspetta che finiamo le operazioni di sbarco, che tiriamo i kayak sullo scivolo e che li sistemiamo sullo scalino che qualcuno avrà predisposto pensando proprio al nostro arrivo, chissà: quando finalmente, dopo almeno dieci minuti, cominciamo a toglierci giubbotto e paraspruzzi, si avvicina e, con fare molto titubante, ci chiede da dove siamo partiti (e si capisce bene che, per quanto in inglese, il distinto marinaio ha infilato qualche "minchia" in greco nella frase smozzicata). Conosce bene la sua isola: trenta chilometri a forza di braccia e alla fine entrate in porto con questo vento? Noi abbiamo adocchiato la tettoia di un bar-caffè aperto sul mare: lui capisce al volo e ci fa cenno che si, possiamo montare la tenda là sotto. E ci consiglia anche la taverna per la cena. E spiega agli altri "colleghi" cosa "minchia" stiamo facendo.
Ci sbrighiamo a cambiarci per non congelare dal freddo e lasciamo i kayak in buona compagnia.
Appena infiliamo le gambe sotto il tavolo mi passano tutti i dolori e Mauro riprende a parlare. Poco, come sempre, ma con una cadenza diversa: ha ripreso temperatura.
La notte è rumorosa per le forti raffiche che scendono dalla valle e fanno tintinnare le cime delle barche; ma è anche profumata perché le tavole di legno del pavimento emanano un intenso aroma di resina. Se non fosse che Mauro attacca a russare come un facocero, sarei anche riuscita a dormire!

Uscita strategica dal porto di Korthiou
La costa orientale di Andros
Navigando verso sud con le isolette intermedie tra Andros e Tinos sullo sfondo
A Tinos, finalmente!
Le belle scogliere di marmo verde del nord-ovest di Tinos 

Domenica 23 ottobre 2016 - 122° giorno di viaggio
Ormos Korthiou, Andros - Panormos, Tinos (30 Km)
Vento NE 6-8 nodi (F3) - Mare poco mosso - Temperatura 21°C
Facciamo colazione seduti sui gradini del molo, accanto ai kayak.
Io non ho chiuso occhio, e stamattina sono io che non parlo affatto.
Mauro in questi casi è molto comprensivo e persino servizievole: ci manca solo che mi imbocchi.
Lo scivolo è occupato a turno dai vari proprietari delle barche ancora in porto che oggi, in un giorno di festa, vengono lavate, svuotate e issate sui carrelli per essere spostate in qualche luogo sicuro in cui svernare. E' tutto un via vai di pescatori che prima ci guardano come marziani, poi ci salutano con convinzione e dopo proseguono per seguire le loro faccende. La lingua costituisce un ostacolo talvolta insormontabile: loro non parlano inglese e noi non parliamo greco, salvo qualche parola per ordinare i nostri piatti preferiti o per chiedere qualche informazione. Peccato, sarebbe bello sapere cosa hanno pescato oppure cosa conservano nelle panchine che sono anche delle cassapanche, ben chiuse con lucchetti tutti diversi a seconda del peschereccio che ci dondola davanti. Alcuni di loro aspettano di vedere la nostra partenza e si siedono sulle panchine in ghisa più vicine ai due Voyager, costringendoci a tornare dietro al bancone del caffè-bar per cambiarci d'abito e per infilarci costume, maglietta e pantaloncini (asciugatisi al timido sole del mattino).
Non appena usciamo dal porto ritroviamo il nostro amico di lunga data: il vento!
Stavolta non scende più dalla vallata interna ma arriva dritto dal mare aperto: ed è ovviamente contrario alla nostra rotta! Almeno per i primi quattro chilometri, giusto la distanza necessaria a consumare la prima colazione.
Quando però doppiamo il capo di Exo Pouda, sormontato dal solito nano-faro, la brezza tesa ci prende alle spalle e ci sospinge decisa verso sud. Finalmente pagaiamo per qualche chilometro col vento in poppa: da quanto tempo non ci capitava più? Ed infatti ho perso la mano ed il mio Voyager se ne va un poco scodinzolando, passando prima a destra e poi a sinistra del Voyager di Mauro, che invece procede diritto come un fuso. Poi smetto di pensare ad altro, di curiosare lungo la costa rocciosa, disabitata e rigogliosa, mi concentro sulla pagaiata e riesco a mantenere la rotta.
La pausa pranzo è ultra-veloce: non vediamo l'ora di lasciare Andros e di spostarci su Tinos.
Non che l'isola non ci sia piaciuta, anzi, ha un certo fascino seducente, benché tutte le guide mettano in guardia rispetto al fatto che è così prossima all'Attica da non avere una sua peculiarità: ha coste rocciose molto particolari, è antropizzata sul versante occidentale e quasi completamente disabitata su quello orientale, è ricca d'acqua e di vegetazione, è piena di villaggi disseminati in ogni angolo e le sue chiesette dalle volte dipinte di rosso sono forse le più numerose di tutte le Cicladi. E' solo che vogliamo cambiare isola, passare alla successiva, continuare col programma di viaggio: su Andros abbiamo fatto più campi che su qualsiasi altra isola, almeno sin'ora! Chissà cosa ci riserverà Tinos (e poi Syros!), ma intanto aneliamo di passare lo stretto tra Andros e Tinos.
Pagaiamo decisi verso est e torniamo ad ammirare il faro dell'isolino intermedio tra le due isole, facciamo ciao ciao con la manina al capo sotto cui abbiamo pagaiato la prima volta, quel lontano 14 ottobre, e chiudiamo idealmente il periplo di Andros.
Adesso siamo su Tinos. Finalmente!
Dopo avere navigato lungo il versante sud-occidentale dell'isola, ora ci troviamo su quello nord-orientale, che come per Andros è sia meno antropizzato che più interessato dai venti dei quadranti settentrionali.
Questo tratto di costa, perfettamente orientata ovest-est, è caratterizzata da profonde anse che si insinuano tra le scogliere strapiombanti, da numerose cave di marmo e da colori davvero affascinanti: è un susseguirsi di rocce di colore verde, intenso come lo smeraldo o tenue come le foglie d'ulivo, e quando le vecchie cave dismesse si affacciano sul mare lasciano intravedere tutta un'altra serie di colori che per numero e varietà ricordano quelli di Andros, solo che là erano stratificati in linee orizzontali e qui invece in blocchi verticali.
Il vento che poco prima ci ha sospinto verso sud, ora ci raggiunge al traverso, senza ostacolare la nostra avanzata perché cala sempre di più man mano che entriamo nel pomeriggio.
Il momento più emozionante della giornata è quello in cui raggiungiamo l'isolotto di Planitis, all'ingresso dell'ampio golfo di Panormos, sormontato da un vecchio faro in pietra ormai dismesso ed affiancato dall'immancabile nano-faro in funzione. L'isola è rocciosa, scoscesa ed impervia, con pareti verticali di un bel colore verde sul tratto affacciato in mare aperto e con incredibili striature orizzontali nella parte rivolta agli scogli bassi che lo collegano all'isola madre. C'è un passaggio stretto e basso che scoviamo nel bel mezzo di quei massi affioranti, praticabile soltanto oggi che il mare è quasi calmo e soltanto adesso che il vento è quasi calato. Risparmiamo così un paio di chilometri e raggiungiamo Panormos prima del previsto, che sono appena suonate le cinque del pomeriggio. Prima, però, ci fermiamo a scattare alcune fotografie alla meda più strana che ci sia mai capitato di incontrare: non è luminosa ma sonora, posta su un basso fondale di rocce chiare e dotata di una campana in bronzo e di un salvagente arancione, questo strettamente legato a quella, così da richiamare subito l'attenzione non appena un naufrago dovesse avere bisogno di soccorsi.
Oggi non abbiamo la fortuna sfacciata di ieri: non troviamo una tettoia ad attenderci!
Dobbiamo fare buon viso a cattivo gioco e sistemare i kayak tra le tamerici, accanto ad una casa-vacanza chiusa, sulla spiaggia all'altra estremità del villaggio: che quando si accende di lucine gialle per accogliere la sera si ammanta anche di un'aura speciale, come un presepe di mare.
Andiamo a cena in taverna, ovviamente!
E ci rintaniamo in tenda per le nostre dieci ore di sonno non appena possibile.
Domani restiamo a terra: sappiamo già che il Meltemi tornerà a farci visita!

Una breve apparizione del sole
L'isoletta di Planitis all'ingresso del golfo di Panormos a Tinos
La meda sonora di Panormos
L'accampamento temporaneo sulla spiaggia di Panormos
Andros è un'isola talmente grande che la mappa è fronte-retro e servono due foto!
Dopo aver messo piede su Andros, torniamo finalmente ad esplorare Tinos!

Lunedì 24 ottobre 2016 - 123° giorno di viaggio
Panormos - Panormos, Tinos (0 Km)
Vento N 22-28 nodi (F6-7) - Mare agitato - Temperatura 20°C
Risveglio lento: stamattina la sveglia non suona. Non l'abbiamo puntata.
Sappiamo che nessuno verrà a lamentarsi per il nostro accampamento temporaneo: tutti i locali che di primo mattino sono passati in spiaggia hanno salutato cordialmente, dopo il primo evidente momento di sorpresa, come se avessero visto dei marziani.
Ci vestiamo da "terragni" e andiamo a cercare un bar per la prima colazione.
Non appena vediamo che la "nostra" taverna apre i battenti, ci trasferiamo armi e bagagli nella sua accogliente sala interna e colleghiamo tutte le nostre carabattole elettroniche: è giunto il momento di aggiornare il blog, c'è già chi reclama notizie fresche!
Ci mettiamo radici, nella taverna, e ci rimaniamo sia per il pranzo che per la cena.
E' bello vedere come le taverne diventino fuori stagione dei luoghi di incontro e di socialità: quando la figlia dei gestori torna da scuola entra con alcuni compagni e scherzano a lungo, nel pomeriggio arriva una vecchina e si siede a chiacchierare, poi è la volta di alcune signore che aiutano la cuoca a pulire le verdure, entrano anche degli uomini in cerca di pane o pesce fresco e se ne vanno sempre con le sporte piene, infine arrivano gli avventori che devono essere degli abituè e che non hanno neanche bisogno di consultare il menù.
Chiudo la finestra quando le raffiche del Meltemi si fanno più intense: sollevano onde frangenti che sbattono sul basso molo che circonda la baia, come se tutto il villaggio fosse un porto, e che bagnano la strada che corre proprio dietro il molo; ad un certo punto il vento solleva e nebulizza anche l'acqua dei frangenti, spruzzando a dovere le auto parcheggiate vicino al mare (io non guiderei in questo posto neanche sotto tortura, con la strada che coincide col molo: rischierei di finire in ammollo subito subito!).
Ordiniamo "gemistà" per pranzo, l'accoppiata di peperoni e pomodori ripieni di riso, e "imam" per cena, la tradizionale melanzana guarnita di cipolle e formaggio fresco. Paghiamo poco e beviamo tanto: il proprietario deve averci preso in simpatia, anche se abbiamo invaso il tavolo di carte ed appunti, ed ogni occasione sembra buona per offrirci un giro di raki.
Siamo al caldo e al riparo: là fuori il Meltemi impazza.
E' in arrivo un'altra perturbazione, caratterizzata da forti venti da nord che raggiungono e superano i trentacinque nodi e che durano da due a tre giorni, intervallata da un paio di giorni di apparente tranquillità e seguita da altre giornate di venti da sud, come se l'Egeo volesse provare i venti di tutti i quadranti.
Ripensiamo ancora ad Andros, dove abbiamo trascorso tante lunghe giornate, anche di attesa, e discutiamo della strategia adottata durante la sua circumnavigazione: se avessimo ignorato le previsioni ad ampio spettro ed avessimo deciso per il periplo in senso anti-orario, probabilmente avremmo trovato sempre venti favorevoli, ma con i "soliti" trenta e più nodi, e chissà dove saremmo sbarcati per cercare rifugio dalle raffiche più violente. Scegliendo, come abbiamo fatto, di risalire prima il versante occidentale, per restare riparati (per quanto possibile) dai venti del nord, e poi di scendere il versante orientale per cercare di sfruttarli (per quanto possibile), abbiamo potuto affrontare i venti catabatici famosi sull'isola quando erano meno aggressivi e, nonostante le numerose e prolungate soste, abbiamo anche potuto apprezzare meglio la costa settentrionale, senza dubbio più affascinante.
Ripensiamo anche alla strana alternanza dei fari in pietra e dei fari su tralicci metallici che presenta l'isola di Andros, più di qualsiasi altra isola: Andros vanta il maggior numero di fari di tutte le altre Cicladi, ma mentre sulle isole sorelle la scelta è univoca, o pietra o ferro, sull'isola più settentrionale, invece, si avvicendano belle strutture in pietra, alte sui promontori più alti, ed insignificanti nano-fari sui capi meno esposti. Ho controllato sulla mappa e ho riletto il diario di viaggio per esserne sicura: contando il faro dell'isolino intermedio tra Tinos ed Andros, su quest'ultima si incontrano un nano-faro ed un faro in pietra in una sequenza perfetta, che riconosco come tale soltanto adesso che l'isola l'abbiamo finalmente lasciata!
Di Tinos parleremo ancora: domani pensiamo di visitare Pyrgos, il paese degli scultori.
Se poi dobbiamo stare a terra ancora un giorno, troveremo qualche altro luogo da visitare.
Per il momento, ci godiamo la sosta forzata dopo le tappe forzate.
E dormiamo ben più di dieci ore per notte!